Nell’incontro di oggi a Gedda, funzionari ucraini e statunitensi si sono ritrovati faccia a faccia per la prima volta dallo ‘strappo’ tra Donald Trump e Volodymir Zelensky nello Studio ovale. A negoziare, per conto di Washington il Segretario di Stato Marco Rubio, il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e l’inviato speciale Steve Witkoff, mentre la delegazione ucraina è guidata da Andriy Yermak, il più stretto collaboratore di Zelensky, dal ministro degli Esteri e della Difesa, rispettivamente Andriy Sibiha e Rustem Umerov, e Pavlo Palisa, consigliere militare. Ma lo stesso Zelensky – per quella che l’Ucraina sostiene essere solo “una coincidenza” si trova a Riad, per colloqui con la casa regnante. Sul tavolo dell’incontro tre dossier: un cessate il fuoco “parziale” proposto da Kiev; la ripresa delle forniture di armamenti e di informazioni di intelligence, che gli Usa hanno sospeso per fare pressione dell’Ucraina e l’accordo sulle terre rare. Rubio ha definito “promettente” il round negoziale e ribadito che l’Ucraina deve mostrarsi “seria” nel percorso verso le trattative. Intanto, però, la notte scorsa, lo Stato maggiore di Kiev ha rivendicato l’attacco aereo condotto nella regione di Mosca, tra i più massicci dall’inizio del conflitto. Circa 335 droni, di cui 81 nella sola regione della capitale in cui hanno provocato almeno due morti. “Un invito a Putin” fanno sapere fonti di Kiev, “ad accettare la tregua aerea”.
Kiev propone la ‘sua’ tregua?
Per Zelensky, che Trump poche ore dopo lo scontro alla Casa Bianca ha invitato a “tornare quando vorrà veramente impegnarsi per la pace”, la priorità è convincere il presidente che quel momento è arrivato: “L’Ucraina cerca la pace dal primo secondo della guerra, che continua unicamente a causa della Russia”, ha scritto ieri il presidente ucraino. E per dimostrarlo, la delegazione ucraina si è presentata nella città saudita con la proposta di una tregua parziale che prevede lo stop agli attacchi con droni e missili e delle operazioni sul Mar Nero. Oltre al cessate il fuoco, il piano proposto da Kiev prevederebbe uno scambio di prigionieri e il ritorno in Ucraina dei bambini deportati in Russia, come “ulteriori passi per costruire un clima di collaborazione”. La verità, però, è che Kiev è decisamente sotto pressione: l’interruzione delle forniture di intelligence e armi da oltreoceano inizia già a creare problemi al fronte, mentre la minaccia di sospendere il sistema satellitare Starlink, insinuata da Elon Musk su X, alimenta i timori di un ‘tradimento’ che priverebbe le forze armate ucraine di uno strumento fondamentale per le comunicazioni e le operazioni sul campo.
La ‘pace’ di Trump è una resa?
Se per Kiev la priorità è sbloccare l’invio di armi e ripristinare la condivisione di informazioni, un grande interrogativo riguarda concessioni a cui gli Usa potrebbero costringere Kiev sul lungo periodo. Fonti diplomatiche parlano di accettazione di un ridimensionamento delle forze armate e neutralità strategica, che implicherebbe una rinuncia definitiva alla Nato e al dispiegamento di forze di interposizione straniere sulla linea del fronte, che equivarrebbe ad abdicare ad ogni garanzia di sicurezza contro attacchi futuri. Intanto, Rubio ha chiarito che per gli Usa “non esiste una soluzione militare” al conflitto. “I russi non possono conquistare tutta l’Ucraina, e ovviamente sarà molto difficile per l’Ucraina costringere i russi a tornare al punto in cui erano nel 2014 in un periodo di tempo ragionevole” ha detto il segretario di Stato. Il sottotesto è chiaro: oltre a firmare l’accordo per concedere agli Usa lo sfruttamento dei minerali rari nel proprio sottosuolo, Kiev dovrà cedere territori, e magari tenere elezioni in tempi rapidi che portino alla sostituzione di Zelensky con un candidato meno sgradito a Mosca (e a Trump). Concessioni pesanti da imporre a un paese alleato e aggredito, soprattutto alla luce del fatto che fino a questo momento, non sembrano accompagnarsi ad altrettanti chiarimenti su cosa dovrà mettere sul piatto Mosca.
Ma è Mosca la vera incognita?
Anche la Russia osserva con attenzione l’incontro di Gedda. “Gli uomini del regime Zelensky vogliono davvero la pace oppure no?” si è chiesto ieri il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, definendo anche “lunga e difficile” la strada per il ripristino delle relazioni bilaterali tra Russia e Stati Uniti. Ma intanto le truppe di Mosca aumentano la pressione militare su Kiev anche grazie alla sospensione degli aiuti militari e di intelligence, ordinata da Trump. E diversi alti funzionari ucraini fanno notare di non aver ancora visto alcuna prova che gli americani intendano fare pressione sul Cremlino affinché rispetti un eventuale accordo di cessate il fuoco. Il 7 marzo, Trump ha minacciato di imporre sanzioni alla Russia. Ma la maggior parte delle cose che fa, di fatto, avvantaggia Putin. Il presidente lo ha detto chiaramente: “Sto trovando più difficile, francamente, trattare con l’Ucraina. Per ottenere un accordo finale, potrebbe essere più facile trattare con la Russia”. Come ha sottolineato Kurt Volker nel suo incontro all’ISPI, la scorsa settimana, il tycoon vuole che Kiev “accetti qualunque pace si riesca a ottenere”, mentre gli ucraini costituiscono un ostacolo “perché non si arrendono”.
Il commento
Di Eleonora Tafuro Ambrosetti, ISPI Senior Research Fellow
“La scelta di far ospitare i negoziati all’Arabia Saudita può rispondere a tre motivazioni. Primo, segnala la crescente importanza di Riad e altri paesi del Golfo nella mediazione tra Russia e Ucraina (basti citare anche il ruolo del Qatar nello scambio di prigionieri di guerra e nel favorire il ritorno dei bambini ucraini rapiti dai russi). Secondo, l’Arabia Saudita è considerata un solido alleato degli Stati Uniti, ma è anche buone relazioni con Mosca (con cui condivide la piattaforma Opec+) e, sempre più, anche con l’Ucraina. Terzo, la scelta di un luogo di incontro diverso rispetto a quelli già sperimentati (Bielorussia e, soprattutto, Turchia) può avere anche un valore simbolico, per segnare un nuovo inizio. La relativa marginalizzazione della Turchia segnala anche crescenti frizioni tra Mosca ed Ankara, per le recenti dichiarazioni turche in sostegno dell’Ucraina e per il ruolo turco nel rovesciamento del regime di Assad in Siria”.
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