Milano – Di pochi decimali, ma al di sotto della media nazionale. La Lombardia, terra d’eccellenza per antonomasia, non brilla per il numero di donne nei consigli d’amministrazione. A fotografare la situazione, il dossier presentato all’assemblea regionale di Manageritalia, gruppo che raccoglie le figure professionali di vertice delle aziende per iniziative di supporto al terzo settore. La capitale morale, che è anche faro economico del Paese, conta 19,9 figure femminili su 100 componenti dei board, contro una quota italiana del 20,02.%.
Uno scarto bassissimo, ma sufficiente a far piazzare Milano e le undici province che la circondano al dodicesimo posto nazionale, superate da realtà considerate, a torto almeno in questo campo, meno efficienti come Sardegna, prima con il 22,6%, Molise (22,2%), ma anche Sicilia e Lazio, quarte a quota 21,9%. Peggio di noi, nove realtà fra cui Marche, Campania, Veneto, Calabria, Puglia. Sorpresa per il Trentino, ultimo col 16,4%. Certo, la Lombardia vanta il più alto numero di dirigenti privati: in totale sono 55.720, contro i 127mila dell’intera Italia. Di questi, il 78% sono uomini, quota che in Lombardia scende al 76,7%. La crescita femminile, comunque, è una realtà, se è vero che dal 2008 al 2022 l’incremento è stato del 101,03%, contro un meno vigoroso 86,6% italiano. Ma la strada da compiere resta lunga e in salita.
Ottimista il presidente di Manageritalia Lombardia: “Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una trasformazione straordinaria del mondo del lavoro: le donne stanno conquistando sempre più spazio, portando valore, competenze e visioni innovative – dice Paolo Scarpa –. Quasi la metà delle manager vive a Milano o in Lombardia. Un dato ottimo, che però non deve far desistere dalle politiche che favoriscano una conciliazione fra famiglia e professione, rimuovendo ostacoli come la differenza di stipendio che va contrastata con impegno”. Il quadro fornito dai dati, tuttavia, resta contrastante. Sulle 58.659 società della regione prese in esame, quasi due terzi, il 64,8%, non ha neppure una donna nel cda. Va peggio nel resto d’Italia, però, dove la quota sale al 66,7%. Per il resto, il 35,2% ha un consiglio dove siedono non solo uomini, mentre il 9% dei board è solo al femminile. Quota che in Italia sale al 10,9%.
Lascia ben sperare, tuttavia, la dinamica. L’aumento della rappresentanza delle donne è al 5% l’anno, contro un +3,8% delle altre regioni. Meglio ancora se si calcola non solo la presenza negli organi societari, ma anche nei ruoli dirigenziali: +8,8% in 12 mesi. Sempre in tema di figure di spicco degli organici aziendali, Milano si riprende il palcoscenico piazzandosi prima per numero di manager: 44.500 figure, con le donne in crescita dell’11%. A sorpresa, ottimo piazzamento di Lodi, dove non solo crescono i dirigenti (+4,1%), ma la quota femminile raggiunge il 20%, meglio che in tantissime altre realtà lombarde, anche più popolose e ricche. Dati negativi per la dinamica del numero di manager nelle imprese private solo a Varese (-8,4%) e Sondrio (-4,5%). Il calo, che coinvolge anche gli uomini, è frutto di una riduzione di investimenti sul capitale umano.
Contingenza positiva, almeno secondo Conflavoro, la Confederazione delle pmi italiane, per le imprese al femminile, che “sono in Italia il 22,2% del totale e danno lavoro a 4,7 milioni di persone, con un fatturato che sfiora i 240 miliardi, ovvero quasi il 12% del pil”, spiega il presidente Roberto Capobianco. La Lombardia, in questo caso, guida la classifica italiana, con 182mila aziende, pari al 15% complessivo. Ed è anche prima assoluta in Europa, se vengono aggiunte le lavoratrici autonome, arrivando a quota 236mila.
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