Cronache dai Palazzi – Futuro Europa


“I mercati aperti sono una garanzia di pace, no al protezionismo di ritorno. L’ordine mondiale sia libero e inclusivo”, ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita in Giappone, alla luce dell’attuale guerra dei dazi. Serve molto altro per non essere fagocitati “dall’alternativa tra cooperazione e pretese di dominio”, spiega il Capo dello Stato. “L’obiettivo”, sottolinea Mattarella, è di avere “un ordine internazionale basato sulle regole, libero, aperto, inclusivo, pacifico. Con norme certe, applicabili a tutti i Paesi, a prescindere da ogni considerazione di potenza economica e militare. Queste norme certe, chiare, che valgono per tutti, costituiscono l’unico possibile presidio per la stabilità mondiale”. Si tratta di condizioni essenziali per evitare o risolvere eventuali conflitti, difendere le democrazie, per rivedere di volta in volta i rapporti tra le Nazioni che attraversano fisiologiche trasformazioni a causa di eventi economici e sociali. Una determinata crisi del multilateralismo, una certa timida legittimità delle istituzioni internazionali e la guerra commerciale dei dazi lanciata da oltreoceano rendono il clima turbolento. Il presidente Mattarella si è espresso in un contesto cosiddetto neutro, senza rimarcare i diverbi in corso in Occidente e rilanciando, nel contesto orientale, il rapporto con le imprese giapponesi. “C’è una collaborazione piena basata su rispetto e fiducia reciproca”, ha rimarcato il Capo dello Stato parlando alla Confindustria giapponese, e aggiungendo: “Sono principi e valori che auspichiamo vengano mantenuti e sviluppati nella comunità internazionale. Cioè quelli dell’apertura dei mercati e delle cooperazioni vicendevoli, nella consapevolezza di un reciproco arricchimento e della interdipendenza che si crea e che sottolinea le condizioni per cui la pace è garantita nel mondo”. In quanto sono ambedue “società aperte, con mercati aperti alla collaborazione con qualunque Paese”.

In sostanza “l’alternativa è tra cooperazione e pretese di dominio” in ogni angolo dell’atlante geopolitico, dato che “solo un rapporto tra eguali nella vita internazionale porta a vantaggi diffusi”. L’intesa siglata nel 2019 tra Bruxelles e il Paese del Sol Levante permise ad esempio di eliminare i reciproci dazi: “un accordo lontano da protezionismi di ritorno”, per l’appunto, non come quelli che sembrano ripresentarsi in questo frangente storico e di fronte ai quali l’Ue si prepara a reagire. Riguardo alla situazione ucraina anche dal Giappone il presidente Mattarella ricorda l’auspicio di “una pace giusta e in linea con i principi della carta dell’Onu, adeguatamente garantita a livello internazionale”. Nello stesso tempo di fronte alle telecamere della tv giapponese Nhk il presidente Mattarella ribadisce che “L’Europa è da tre anni che cerca di indurre la Russia ad essere disponibile a negoziare per una pace non trovando finora disponibilità e tutti in Europa ci auguriamo che la Russia sia finalmente disponibile a trattare condizioni che conducono ad una pace”, che sia “una pace giusta che non crei un omaggio alla prepotenza delle armi perché altrimenti si aprirebbe una stagione pericolosissima per la vita internazionale”. Occorre auspicare “una soluzione giusta che sia duratura che non sia fragile e transitoria”. Tuttavia, per ora, i negoziati di pace non sono ancora “aperti” e quindi non è ancora il tempo della pace, è decisamente “fuori dal momento” ed è “troppo presto parlare delle probabili soluzioni future”.

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Il cosiddetto “Rearm Europe”, annunciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, definito dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, un piano ‘frettoloso’ e “senza una logica”, prevede 800 miliardi in investimenti militari. Non si tratta di mettere in discussione gli aiuti all’Ucraina ma “altra cosa è la difesa e sicurezza europea che implica un programma ragionato, meditato, di investimenti in infrastrutture militari che abbiano un senso, e non fatto in fretta e furia senza una logica”, ha ammonito Giorgetti, puntualizzando: “Ricordo che per comprare un drone o un missile supersonico, non si va al supermercato, ci vogliono investimenti pluriennali”.

Il tema del riarmo targato Ue ha creato, in effetti, una spaccatura di pensiero all’interno della maggioranza. Salvini esprime chiaramente il proprio disappunto per tale tipologia di investimenti (in armi) e sottolinea: “Fino all’altro giorno non si poteva investire un euro in più per la sanità e per le pensioni, ora invece si può fare senza indebitarsi? Una scelta sbagliata a partire dal nome… Riarmo”, ammonisce Salvini. Di parere alquanto diverso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che definisce il Rearm Europe “non un piano di riarmo, ma di sicurezza” in linea con ciò che sostiene il ministro della Difesa Crosetto. Cauto ma deciso il parere di Fratelli d’Italia, il ministro Adolfo Urso specifica che “tutti siano consapevoli che l’Europa deve aumentare gli investimenti su sicurezza e difesa”. Federico Rampelli puntualizza: “Si chiama deterrenza, più sei indifeso e più sei preda di chi ha intenzioni ostili”.

Critiche le opposizioni per le quali il riarmo appare inopportuno. Giuseppe Conte si dichiara contrario “al piano von der Leyen di spese folli in armi” e considera il governo “responsabile” dell’attuale situazione, aver sottoscritto dei “vincoli europei che ci costringono a stringere la cinghia”. Elly Schlein ribadisce la necessità di fare “un salto in avanti verso una difesa comune europea” e, nella pratica, se ciò non è ancora avvenuto “è perché evidentemente non c’è ancora la volontà politica da parte degli Stati”. In definitiva, però, Schlein puntualizza: “Ai socialisti europei ho anche detto che la difesa europea è una cosa diversa rispetto all’agevolazione al riarmo dei 27 Stati membri, come fa il piano von der Leyen”, un piano che per Schlein “va nella direzione sbagliata”. Schlein auspica “un piano di investimenti comuni da 800 miliardi all’anno che tenga dentro tutte le priorità: quella industriale, la energetica, la sociale, l’ambientale, la digitale e la difesa”. In sostanza potrebbe rivelarsi “un errore lasciare indietro tutte le altre priorità che sono state il cuore del Next Generation Eu”. Non si discute quindi l’importanza di una difesa comune europea ma occorre garantire una interoperabilità, una solida deterrenza, senza peggiorare il debito accettando condizioni di prestito soffocanti. “Sì alla difesa comune e no al riarmo nazionale”. I Fondi di coesione, nello specifico, non dovrebbero assecondare la spesa militare. Una posizione che sembra essere bipartisan. Nella pratica occorre accettare un piano che non si fondi esclusivamente sul debito nazionale.

Tajani inoltre sottolinea: “Io sono europeista, convintamente europeista, e se questo fosse un governo anti-europeo non ne farei parte”. A proposito dell’attuale squadra dell’esecutivo il leader di Forza Italia ribadisce che “questo governo fa sempre delle scelte che vanno nella direzione dell’unità dell’Europa”.

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“Sì al piano Ue, ma non chiamiamolo riarmo. La difesa non è solo riarmo. Noi non useremo i Fondi coesione per le armi”, ha puntualizzato Giorgia Meloni a Bruxelles chiarendo la posizione di Palazzo Chigi. “L’ho ribadito e ho anche escluso la possibilità che in questo quadro possano essere inviati soldati italiani. Penso che dobbiamo ragionare anche su soluzioni più durature di quelle che potrebbero rappresentare oggi un invio di truppe”, ha aggiunto Meloni specificando che le cosiddette soluzioni andrebbero comunque individuate all’interno della cornice dell’Alleanza Atlantica.

Il Consiglio europeo informale ha segnato tuttavia un primo passo e molti altri dovranno essere compiuti da adesso in avanti, prima di tutto affrontando il tema del debito comune che rappresenta decisamente un tema controverso e alquanto divisivo all’interno dell’Ue e che, di certo, non mette d’accordo i 27 all’unanimità. “L’Europa affronta un pericolo chiaro, dobbiamo essere in grado di proteggerci”, ha comunque affermato la presidente von der Leyen aprendo la strada a 800 miliardi di investimenti nei prossimi quattro anni e non escludendo la possibilità di un eventuale allentamento delle regole su debito e deficit, per consentire ai diversi Stati membri di investire maggiori risorse per la difesa (comune).

Il rischio consiste nel fatto che molte delle misure adottate in sede europea potrebbero incidere negativamente sul debito dei Paesi membri. In particolare “per un Paese come l’Italia ci sono dei rischi”, ha dichiarato a sua volta la premier Meloni a ridosso del summit di Bruxelles nel corso del quale Meloni ha proposto al Consiglio Ue di affiancare al piano messo sul tavolo la possibilità di una garanzia europea per gli investimenti nel settore della difesa seguendo il modello di InvestEu, incoraggiando l’impiego di fondi privati che si andrebbero ad aggiungere a quelli pubblici. L’idea è che Bruxelles permetta una deviazione al rialzo della spesa pubblica fino all’1,5% del Pil, rispetto ai piani già messi nero su bianco per ogni singolo Paese. L’Italia riuscirebbe in questo modo a recuperare circa 31 miliardi da dedicare alle spese (in deficit) per la difesa. Tutto rimane però ancora da decidere soprattutto se spalmare la spesa (in deficit) nell’arco di quattro anni o se sia sopportabile in un anno senza appesantire l’indebitamento già ingente (3mila miliardi in Italia, una cifra superiore al Pil annuo) o costringendo a fare tagli di spesa in altri settori.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti presenterà una proposta (italiana) nel corso della prossima riunione Ecofin prevista per l’11 marzo. L’obiettivo è non intaccare il debito pubblico né direttamente né indirettamente, la Ue emetterebbe una garanzia e le banche ne potrebbero usufruire per investire nel settore della difesa. Meloni ha ribadito il no italiano a proposito dell’utilizzo dei Fondi di coesione per incrementare il riarmo: “Abbiamo condotto una guerra perché non ci sia alcuna obbligatorietà, dicendo che la decisione italiana sarà portata in Parlamento”, ha puntualizzato Giorgia Meloni accogliendo la proposta tedesca che consiste in una revisione organica del Patto di Stabilità che secondo Roma non dovrebbe essere confinato alle materie per la difesa ma inglobare anche altri settori come ad esempio la competitività. “In questo caso parliamo di tante cose, di autonomia strategica nel senso più ampio”, aggiunge la presidente del Consiglio, ammonendo: “Diciamo che visto che siccome noi lo sosteniamo da anni, se fossimo stati più ascoltati in passato sarebbe stato meglio”.

L’Italia ribadisce, nello specifico, la necessità di attuare degli investimenti per la difesa che siano compatibili con i criteri della Nato, procedendo inoltre in sede europea alla strutturazione di un meccanismo in grado di decifrare le risorse investite dai singoli Stati membri nei programmi di difesa europei. La premier Meloni ha inoltre ribadito che una pace giusta, duratura e stabile, deve essere accordata con le garanzie dell’Alleanza Atlantica, eventualmente ricalibrando l’articolo 5 del Patto Atlantico ma senza svuotare tale articolo o metterlo in discussione e, soprattutto, in modo tale che le regole della pace prevalgono sulla legge del più forte o del più ricco. Il concetto di difesa non vuol dire esclusivamente riarmo, occorre discutere anche “di materie prime, di infrastrutture critiche, di cybersicurezza, la nostra autonomia strategica, i settori dove investire riguardano una serie molto ampia di domini”, sottolinea la premier.

La politica di Coesione è sostanzialmente la politica di investimento Ue che caratterizza l’Unione europea, sostenendo ambiti come la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, la competitività delle imprese, lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente. Il Fondo di Coesione, nello specifico, supporta programmi in cui la Commissione europea e le autorità nazionali e regionali dei singoli Stati membri hanno responsabilità concorrenti e, dopo aver individuato i progetti da finanziare, sono le suddette autorità che devono gestire e portare a termine la realizzazione dei vari progetti.

A proposito di difesa comune, della sua sostenibilità (economica) da parte dei singoli Stati membri e della interoperabilità di questi ultimi, la Commissione europea elaborerà due proposte legislative da presentare nei prossimi giorni per poter avanzare nelle decisioni già nel prossimo summit del 20 e 21 marzo.

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