L’8 marzo è l’occasione per fare il punto sull’efficacia delle politiche di uguaglianza e inclusione delle donne, verso la giusta parità nel lavoro.
L’8 marzo è l’occasione per fare il punto sull’efficacia delle politiche di uguaglianza e inclusione rivolte alle donne, nel mondo del lavoro e nella società nel suo complesso, verso la giusta parità. Partiamo con qualche dato. Per alcune iniziative dedicate dalle aziende all’8 marzo leggi qui.
Donne verso la parità, imprese al femminile
Cribis ha indagato lo status dell’imprenditoria femminile in Italia e ha rilevato la presenza a fine 2024 di 1.050.000 imprese a conduzione femminile, pari al 19,2% del totale delle imprese (il campione è di 5.500.000 imprese), in crescita del +10% rispetto al 2023, una crescita che sottolinea un gap di genere. Si tratta in larga maggioranza di microimprese (il 95,8% del totale), con un basso livello di internazionalizzazione: solo lo 0,9% ha un alto livello di internazionalizzazione, ma la tendenza è positiva, visto che quelle con un livello alto e medio sono cresciute (+4,4%). Da migliorare anche la digital attitude: l’84,6% mostra un basso livello, anche se quelle con un livello medio e alto sono cresciute del +4,3% rispetto al 2023.
Per “impresa femminile” si intende quelle nelle quali la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione è costituita da donne (nel caso di società di capitali), o la maggioranza delle quote di capitale è detenuta da donne. Per le società di persona, quelle nelle quali oltre il 50% degli esponenti è donna, e per le ditte individuali, quelle che hanno una donna per titolare.
Le imprese al femminile sono concentrate soprattutto in alcune regioni:
20,5% Lazio
20,4% Abruzzo
20,4% Basilicata
20,2% Umbria.
Nelle province, la prima è Prato (23,8%), seguita da Frosinone e La Spezia.
Per quanto riguarda invece i settori di attività, ecco i principali:
52,5% Servizi sociali
39,6% Industrie tessili
39,1% Commercio al dettaglio di abbigliamento e accessori.
Donne manager: la parità è lontana
La fonte è il 10mo rapporto Woman in the workplace di McKinsey le donne promosse al ruolo di manager nel 2024 sono ancora il 20% meno rispetto agli uomini.
Tra le 280 organizzazioni coinvolte, con oltre 15.000 dipendenti intervistati e 280 responsabili HR, emerge che ogni 100 uomini promossi nei ruoli dirigenziali, le donne sono state 81. Un dato che non si discosta dal trend registrato tra 2020 e 2023.
La variabile etnica aggrava il gap: su 100 uomini manager di colore, le donne solo solo 54. Per l’origine latinoamericana, sono 65. Per l’Asia invece la parità delle donne è quasi raggiunta: 99 su 100. Per la razza caucasica siamo a 89 donne su 100 uomini.
Il divario si registra anche nelle grosse organizzazioni, nonostante le politiche Dei (diversity, equality & inclusion), ed è un ostacolo alla valorizzazione del potenziale lavorativo delle persone, dunque un freno per le aziende. Accanto alle ragioni di tipo culturale, ce ne sono anche di strutturali, e legate in primis al reclutamento del personale, che non arriva nemmeno a certe figure professionali.
I motivi del gender gap, e le possibili soluzioni
L’azienda specializzata nella consulenza e servizi HR Zeta Service individua alcuni elementi di partenza che contribuiscono allo svantaggio delle donne nel lavoro. Le donne sono più spesso laureate degli uomini (59%), e sono anche la parte preponderante della popolazione (51%), eppure coprono solo il 48% delle posizioni entry level o specialist e sono molte meno nelle posizioni aziendali superiori. Solo il 39% dei manager è donna, il 29% è in una posizione dirigenziale. Nel 2015 erano solo il 17%, ma l’incremento, secondo McKinsey, è dovuto in gran parte alla riduzione di queste posizioni e all’incremento dei ruoli di staff (HR, ufficio legale, It) coperti da donne. Di conseguenza non si può nemmeno parlare di progressione verso la parità: al ritmo attuale per le donne bianche ci vorrebbero 22 anni per raggiungere i colleghi uomini, e 44 anni per le donne di colore.
Gli interventi possibili sono da parte delle aziende, il focus sulla formazione continua, mentoring e coaching per abbattere le barriere che impediscono l’accesso a posizioni dirigenziali.
La certificazione della parità di genere per le aziende
Rimaniamo in azienda, e vediamo dai dati del Dipartimento per le Pari Opportunità che in 3 anni ha coinvolto oltre 5.000 aziende, anche grazie agli sgravi contributivi e ai punteggi aggiuntivi nelle gare previsti dal Pnrr: l’obiettivo per il 2026 di 800 imprese è ampiamente superato. La società di consulenza Profice, la cui operations manager Angela Gigli è anche responsabile del comitato guida per le pari opportunità, ha sottolineato come i vantaggi della certificazione vadano oltre il valore simbolico e permettano alle imprese di lavorare su diversi aspetti nell’ambito delle risorse umane.
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