12.57 – venerdì 7 marzo 2025
Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Sono oltre 1,3 milioni le imprese femminili in Italia, pari al 22,1% del totale nazionale. Un tessuto imprenditoriale caratterizzato prevalentemente da attività nel settore dei servizi (90,7%) e con forte concentrazione in regioni come Lombardia (14,2%), Campania (10,1%) e Lazio (9,6%). In termini percentuali, però, le regioni più femminilizzate sono Molise (26%), Basilicata (25%) e Abruzzo (25%). Le imprenditrici hanno mediamente 49 anni, tre in meno rispetto agli uomini (52 anni), e risultano più istruite: il 34,5% possiede un titolo universitario, contro il 23,4% degli imprenditori uomini. Nonostante questo, le dimensioni aziendali restano limitate: il 92,5% delle imprese femminili ha meno di cinque dipendenti e il 97% fattura meno di un milione di euro. Preoccupante il calo del 4,7% nelle Marche nell’ultimo anno.
È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, dal quale emergono forti criticità legate soprattutto all’accesso al credito e agli investimenti, che ne frenano lo sviluppo. «Sono necessarie politiche mirate per valorizzare a pieno l’imprenditoria femminile italiana. Sebbene il quadro complessivo dell’imprenditoria femminile italiana mostri segnali incoraggianti in termini di presenza, qualificazione e intraprendenza, infatti, persistono ancora numerose barriere strutturali e culturali che ne limitano lo sviluppo. L’Italia è ancora distante dal realizzare una piena parità di genere nel mondo economico e imprenditoriale, e le politiche pubbliche devono inevitabilmente focalizzarsi sulla rimozione degli ostacoli, sull’incremento delle opportunità di finanziamento e sulla costruzione di un ambiente imprenditoriale più inclusivo e capace di valorizzare appieno il contributo femminile. Soltanto in questo modo l’imprenditoria femminile potrà davvero contribuire in maniera strutturale alla crescita economica e alla modernizzazione del sistema Italia» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, l’imprenditoria femminile in Italia rappresenta un comparto fondamentale del tessuto produttivo nazionale: ciò rispecchia in maniera significativa alcuni aspetti cruciali della nostra economia e della società. Con oltre 1,3 milioni di imprese guidate da donne, che costituiscono circa il 22% del totale delle aziende italiane, il contributo femminile alla crescita economica appare rilevante, sebbene permangano evidenti criticità strutturali che ne limitano il pieno potenziale. Uno scenario che evidenzia, infatti, la compresenza di elementi di forte dinamismo accanto a barriere storiche e culturali che ancora rallentano una piena parità di genere sul piano economico e imprenditoriale.
Dal punto di vista settoriale, si nota una forte concentrazione delle attività femminili nel comparto dei servizi, dove la presenza delle donne supera il 90% delle imprese da loro guidate. Tale dato evidenzia un orientamento chiaro verso ambiti che, tradizionalmente, richiedono minori investimenti iniziali e una maggiore flessibilità operativa. D’altra parte, emerge anche una minore incidenza dell’imprenditoria femminile nei settori manifatturiero e industriale, ambiti in cui persistono storici pregiudizi e stereotipi di genere, ma anche barriere d’accesso legate alla dimensione e all’intensità di capitale richiesta dalle attività produttive.
ETÀ MEDIA 49 ANNI CONTRO 52 UOMINI
Sul piano demografico, le imprenditrici italiane mostrano una età media lievemente più bassa rispetto ai colleghi uomini: 49 anni contro i 52 dei loro colleghi maschi. Tale differenza, seppur minima, rispecchia tuttavia una significativa presenza femminile tra gli imprenditori under 35, dove le donne rappresentano oltre un terzo del totale. Questa maggiore incidenza femminile nelle generazioni più giovani lascia intuire un progressivo cambiamento culturale, indicando che le nuove generazioni potrebbero lentamente ridurre il gap di genere storicamente radicato nel mondo imprenditoriale italiano.
Anche il livello d’istruzione risulta essere un fattore distintivo delle donne imprenditrici, che mostrano tassi di scolarizzazione universitaria nettamente superiori rispetto ai colleghi uomini: il 34,5% delle imprenditrici possiede infatti un titolo terziario, rispetto al 23,4% dei maschi. Ne emerge come l’imprenditoria femminile italiana, seppur spesso confinata a realtà di piccole dimensioni, sia caratterizzata da una maggiore qualificazione e preparazione culturale. Tuttavia, questa superiore qualificazione non sembra tradursi automaticamente in opportunità migliori, né in dimensioni aziendali più ampie o in una maggiore capacità di crescita economica.
OLTRE 92% IMPRESE È DI PICCOLISSIME DIMENSIONI
Proprio la dimensione aziendale rappresenta un ulteriore punto critico: la maggioranza assoluta delle imprese femminili risulta essere di piccolissime dimensioni, con oltre il 92% che occupa meno di cinque dipendenti e quasi tutte con fatturati inferiori al milione di euro annuo. Questa frammentazione, se da un lato garantisce flessibilità e resilienza, dall’altro limita fortemente le potenzialità di sviluppo e la possibilità di competere sui mercati internazionali. Tale condizione strutturale pone problemi significativi in termini di accesso al credito, agli incentivi economici e alle risorse finanziarie necessarie per investire in innovazione e crescita. La distribuzione geografica delle imprese femminili trova corrispondenza nelle dinamiche territoriali dell’economia nazionale.
Se le regioni economicamente più forti come Lombardia, Lazio e Campania vantano il maggior numero assoluto di imprese femminili, in termini percentuali sono alcune regioni del Centro-Sud come Molise, Basilicata e Abruzzo a mostrare le quote più elevate rispetto al totale delle imprese locali. Nelle aree meno industrializzate e con minori opportunità occupazionali, l’imprenditoria femminile costituisce, dunque, una risposta significativa al problema della disoccupazione e della marginalizzazione economica, confermando un ruolo sociale cruciale, ma contemporaneamente evidenziando la necessità di politiche di sostegno mirate per evitare la vulnerabilità di queste iniziative imprenditoriali. Recentemente, inoltre, si osservano fenomeni preoccupanti come la riduzione del numero di imprese femminili in alcune aree, ad esempio nelle Marche, dove nel solo ultimo anno si è registrata una contrazione del 4,7%, che corrisponde a una perdita significativa di imprese. Ciò rappresenta un campanello d’allarme per le istituzioni e per le associazioni imprenditoriali, indicando la necessità di interventi specifici per sostenere la resilienza delle imprese femminili, specialmente dopo le crisi economiche che hanno caratterizzato gli ultimi anni.
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