Figna (Tenax), sui rischi di credit crunch per le pmi ha ragione Castagna




Ultim’ora news 7 marzo ore 12

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Se le operazioni annunciate in questi giorni andassero tutte in porto, il sistema creditizio italiano attraverserà una fase di consolidamento paragonabile a quella che ha visto nascere alla fine dello scorso secolo i due grandi campioni nazionali: Intesa Sanpaolo e Unicredit. Con ripercussioni anche sul mercato del credito alternativo. E’ quanto sostiene Massimo Figna, , founder e Ceo di Tenax Capital, una società di Asset Management le cui strategie includono reddito fisso, debito privato, titoli insurance-linked (ILS) e azioni.

Domanda. Come giudicare questo tentativo di consolidamento?

Risposta. È un aspetto senz’altro positivo. In Italia ed in Europa ci sono ancora troppe banche. Il consolidamento migliora la stabilità finanziaria e rende gli istituti creditizi più forti, maggiormente in grado di affrontare eventuali shock. Per essere competitivi bisogna fare grandi investimenti in IT, ciò che è indispensabile anche per poter offrire maggiori servizi al cliente. Ma questo si può fare se raggiungi determinate dimensioni.

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D. Non vi sono controindicazioni?

R. C’è un aspetto che deve essere attentamente valutato. Il consolidamento porta con sé un possibile fenomeno di restringimento del credito alle imprese. Il motivo? C’è un tema di concentrazione. Ogni banca ha limiti che non può superare nel fornire credito alla stessa impresa. Si può manifestare una rarefazione del credito, soprattutto nel caso di una Pmi che ha più limitate possibilità di accesso ai mercati dei capitali. È una problematica richiamata recentemente da Giuseppe Castagna, Ceo di Banco Bpm e da Commerzbank, per segnalare gli aspetti negativi dell’acquisizione di cui sono oggetto.

D. Che fare, allora, per conciliare questi aspetti?

R. Occorre trovare un canale di finanziamento alle aziende alternativo che compensi i flussi che vengono meno a causa della concentrazione. Gli interlocutori naturali per un simile tragitto sono i fondi di private debt, soprattutto per soddisfare le esigenze di finanziamento delle Pmi che, come si diceva, hanno meno possibilità di accedere ai mercati dei capitali emettendo, per esempio, un bond. La crescita di questi intermediari, come nel caso dei fondi gestiti da Tenax Capital, è stata significativa ma la loro diffusione è in Italia ancora modesta rispetto a quella che ha raggiunto nei mercati anglosassoni. Dal lato degli investitori, i fondi di private debt possono erogare finanziamenti a tasso variabile contenendo l’esposizione al rischio di controparte limitando fortemente, invece, il rischio tassi. Inoltre, a parità di rating dei soggetti affidati va tenuto presente che i tassi sui prestiti, rispetto ai bond, incorporano un premio di illiquidità di cui beneficiano gli investitori in contropartita del più lungo periodo, in media 5-7 anni, necessario per poter liquidare i loro investimenti.

D. I fondi di private debt dove raccolgono i capitali necessari per finanziare le imprese?

R. Occorrono istituzioni che abbiano passività tali da poter disintermediare il sistema creditizio. Candidati a svolgere questo ruolo sono essenzialmente le assicurazioni e i fondi pensione, che hanno appunto passività a medio-lungo termine che ben si conciliano con la durata tipica degli investimenti nel private debt. Un altro interlocutore da considerare sono gli Eltif, i fondi europei per l’investimento a lungo termine. I regolatori dovrebbero favorire questo processo con misure appropriate, eliminando le barriere normative ancora esistenti. Ne guadagnerebbero la salute finanziaria delle imprese, la stabilità finanziaria e lo sviluppo del mercato dei capitali.



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