Con la recente approvazione da parte del Consiglio dell’Unione Europea della proposta di modifica della Direttiva 2013/34/UE, è stato formalizzato il rinvio al 2028 dell’obbligo di rendicontazione di sostenibilità per le PMI quotate e alcune imprese di paesi terzi. Una decisione attesa e, in parte, auspicata da più fronti, che testimonia la volontà delle istituzioni europee di adottare un approccio più graduale e realistico nell’implementazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).
Ma cosa cambia davvero con questo slittamento? E quali sono le implicazioni concrete per le imprese coinvolte?
Il quadro normativo: la CSRD e la rendicontazione di sostenibilità
La Direttiva UE 2022/2464 (CSRD), che ha modificato la Direttiva 2013/34/UE, rappresenta una svolta epocale nel sistema della trasparenza aziendale. Introdotta per rafforzare il reporting non finanziario, la CSRD amplia significativamente il perimetro soggettivo delle imprese tenute a rendicontare informazioni di sostenibilità e introduce requisiti più stringenti in termini di qualità, coerenza e verifica delle informazioni pubblicate.
Secondo il testo originario della direttiva, l’entrata in vigore della rendicontazione di sostenibilità avviene in maniera scaglionata, con un calendario così articolato:
- Dal 2024 per le imprese già soggette alla Direttiva NFRD (grandi imprese quotate con oltre 500 dipendenti);
- Dal 2025 per le grandi imprese non precedentemente obbligate (oltre 250 dipendenti e 40 milioni di euro di fatturato o 20 milioni di totale attivo);
- Dal 2026 per le PMI quotate, le banche piccole e le imprese assicurative captive;
- Dal 2028, secondo la modifica approvata, per le PMI quotate, le imprese di paesi terzi con attività significativa nell’UE e per alcuni altri soggetti specificati nella normativa.
Le ragioni del rinvio: alleggerire il carico normativo
Il rinvio al 2028 nasce da precise esigenze di natura economica e operativa. Le PMI quotate rappresentano una categoria di imprese che, pur essendo attive nei mercati regolamentati, spesso non dispongono delle risorse, delle competenze o delle infrastrutture interne per affrontare da subito una rendicontazione di sostenibilità così complessa.
Secondo le stime della Commissione UE, i costi di implementazione dei requisiti ESRS (European Sustainability Reporting Standards) possono risultare particolarmente gravosi per realtà di dimensioni contenute, con il rischio di distorsioni competitive o, addirittura, di disincentivazione alla quotazione.
La Commissione ha ritenuto quindi opportuno garantire un periodo più lungo di preparazione, evitando che l’eccessiva pressione regolamentare possa tradursi in effetti controproducenti. La sostenibilità, infatti, deve essere integrata nella strategia d’impresa in modo graduale, e non percepita come mero adempimento burocratico.
Le implicazioni pratiche: più tempo per prepararsi
Il rinvio offre dunque alle PMI quotate un margine temporale importante per attrezzarsi, sia sul piano organizzativo che culturale.
1. Costruzione dei presìdi interni
Molte PMI non hanno ancora sviluppato un assetto di governance adeguato per gestire i temi ESG. Il tempo guadagnato può essere utilizzato per formare il personale, individuare le responsabilità interne, adottare software e sistemi di raccolta dati, e integrare gli indicatori di sostenibilità nei processi aziendali.
2. Approccio alla doppia materialità
Gli ESRS richiedono un’analisi basata sul principio della doppia materialità (impatto dell’impresa sull’ambiente e impatto delle tematiche ambientali sull’impresa). Una logica non semplice per le PMI, che avranno ora modo di familiarizzare con questi concetti e applicarli con maggiore consapevolezza.
3. Scelta dello standard volontario
È importante sottolineare che, pur in assenza dell’obbligo fino al 2028, la Commissione ha previsto l’introduzione di standard volontari semplificati per le PMI non quotate, attesi entro metà 2026. Anche per le PMI quotate, questi standard costituiranno un utile strumento di avvicinamento alla rendicontazione obbligatoria. Le imprese lungimiranti potranno dunque iniziare a “testare” il reporting ESG su base volontaria, costruendo progressivamente una cultura e un metodo.
Il costo dell’inerzia: perché non bisogna perdere tempo
Se è vero che il rinvio alleggerisce la pressione normativa, è altrettanto vero che non può e non deve diventare un alibi per l’inazione. Il rischio è che le imprese rinviino ogni iniziativa, sottovalutando l’impatto che i temi ESG stanno già avendo sulle decisioni di finanziatori, investitori e stakeholder in generale.
Già oggi molte banche stanno incorporando criteri ESG nella valutazione del merito creditizio; i fornitori delle grandi aziende sono spesso chiamati a dimostrare la loro sostenibilità lungo la filiera; e i consumatori premiano sempre più le imprese trasparenti e responsabili. La rendicontazione non è quindi solo un obbligo formale, ma un driver strategico di competitività.
Conclusioni: un’occasione da non sprecare
Il rinvio della rendicontazione di sostenibilità al 2028 per le PMI quotate rappresenta un segnale di attenzione da parte del legislatore europeo verso le specificità delle imprese più piccole. Ma è anche un invito implicito a non farsi trovare impreparati. Le imprese che inizieranno sin da ora a lavorare sulla propria strategia di sostenibilità potranno trarne un vantaggio competitivo significativo, anticipando i tempi e rafforzando la propria credibilità sul mercato.
La sostenibilità, infatti, non è un traguardo da raggiungere per obbligo di legge, ma un processo continuo, che richiede tempo, impegno e visione. Il 2028 non è lontano: iniziare oggi significa essere pronti domani.
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