Un patto tra imprese, cittadini e ricerca per immaginare il futuro senza fermarsi davanti all’ennesima emergenza, quella dei cambiamenti geopolitici. L’iniziativa-evento di Corriere della Sera e Università Bocconi a Milano, dal 25 al 27 marzo
Siamo tornati a un mondo fatto di geopolitica, dove garantire il presente a spese del futuro è diventata la scommessa fondamentale? E addirittura, come si sente dire qui e là, con una voglia di passato visto come l’idilliaco mondo che fu? Il sospetto è che si tratti solo del dominio narrativo imperante nei nostri giorni, caratterizzati da una comunicazione digitale tanto immediata quanto efficace, basata sul seminare incertezza. La realtà è invece fatta di un mondo di 8 miliardi di persone che hanno la speranza di un domani migliore. In qualche caso con la giusta aspirazione a ripristinare che cosa abbiamo deteriorato (l’ambiente) o lasciato alle nostre spalle facendo tesoro del passato. In altri puntando decisamente su quel motore che ha sempre garantito all’umanità il miglioramento continuo delle proprie condizioni, l’innovazione, lo sguardo rivolto al futuro. Non si tratta solo di parole, non più tardi di qualche mese fa a New York, nell’ambito delle Nazioni unite si sono riuniti oltre 2 mila delegati in rappresentanza di quasi 200 Paesi adottando un «Patto per il futuro». Una sorta di dichiarazione storica per permettere che le nuove generazioni possano vivere in un mondo più sicuro e sostenibile. Certo, si tratta di uscire da quell’angusta visione che sembra spingere ogni Paese a chiudersi in se stesso tra dazi e barriere. I governi dovranno essere chiamati a parlare più di investimenti che di nuove tasse quali sono i dazi. Più di ricerca e sviluppo invece che di difesa dei risultati raggiunti.
Nel caso dell’Italia dovranno essere rimossi quegli ostacoli, soprattutto burocratici all’innovazione che hanno impedito per esempio la piena attuazione di Transizione 5.0, bloccando quegli oltre 6 miliardi messi a disposizione dall’Europa esattamente per la transizione digitale ed ecologica. A meno che non si voglia perdere definitivamente il treno dei grandi Paesi. Sinora siamo stati tenuti in piedi da quella magnifica industria manifatturiera che tra alimentare, moda e arredamento ha imposto il made in Italy nel mondo. Le nostre macchine utensili altamente innovative sono in ogni angolo del globo. Ma nel nostro Paese se non smettiamo di pensarci come un’Italia perennemente in emergenza e incapace di fare sistema, il rischio è il «declino». Una parola che ci ha spinto a tante riforme nel primo quarto di secolo seguendo un percorso di modernizzazione che non possiamo interrompere.
La doppia transizione
L’Europa ce lo ha detto chiaramente, il mondo è nel pieno di due transizioni, strettamente intrecciate: digitale ed ecologica. Non si tratta di parole vuote. Mentre noi discutiamo in modo artificioso di «ideologia» europea, i nostri partner corrono su quei due assi. La Francia dispone ormai di unicorni (società, start up attive nel digitale, valutate oltre un miliardo) in un numero venti volte superiore a quello italiano. Sull’auto la riconversione tedesca sta marciando a ritmi sorprendenti al punto di essere persino dolorosi per i lavoratori. E a Monaco, dove è attiva tra le altre una start up guidata dall’italiano Francesco Sciortino, Proxima, che vuole realizzare la fusione nucleare, si pensa possa nascere la prima azienda da mille miliardi di valore in ambito tecnologico. E’ stato coniato persino un neologismo per gli unicorni nati nell’area: Munichorns. Decisivo il ruolo di due università la Ludwig Maximilian University e la Technical University du Monaco. Ma quante sono le università italiane attorno alle quali si potrebbe costruire non solo ricerca ma anche trasferimento tecnologico? E si pensi ancora al ruolo che l’Italia potrebbe giocare in campo energetico. E’ sicuramente sottostimato.
Il nodo dell’energia
Si parla molto di bollette, e a ragione, pochissimo di quanto sappiamo fare in termini di riutilizzo energetico e delle fonti tradizionali. Nonostante l’azione del governo, siamo ancora indietro nella semplificazione e nella spinta verso la creazione di nuovi impianti di produzione da fonti rinnovabili. Termovalorizzatori, uso del calore creato dai nuovi data center che si stanno creando nel nostro Paese, non possono essere figli di iniziative sporadiche e locali ma compiutamente fatte proprie come sfida a carattere nazionale anche proprio attraverso l’utilizzo di Transizione 5.0. I prezzi dell’energia da rinnovabili continuano a cadere, quella da eolico è scesa del 4% annuo dal 1990, quella solare del 12%. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) il costo dell’elettricità da solare con batterie di immagazzinamento sono meno costosi già oggi di un impianto a carbone in India o a gas negli Stati Uniti. Non si tratta di fare scelte a favore dell’una o dell’altra fonte, quanto — affermando il principio della neutralità tecnologica per arrivare a emissioni zero contenuto nel rapporto di Mario Draghi — di liberare risorse intellettuali, finanziarie e produttive affinché il nostro Paese sia impegnato in una corsa in quei settori dove possiamo ambire alla leadership. Sapendo che secondo alcuni studi le rinnovabili, associate a nucleare e idroelettrico potranno anch’esse ambire a sostituire le fonti fossili a partire dal 2050.
Le cautela eccessiva
Non appaia come un sogno. Si pensi a quanto accaduto nella telefonia. Chi l’avrebbe mai detto che nel 2025 possedere un telefono non sarebbe più stato legato a una linea telefonica fisica, a un cavo? E’ evidente che quello che appariva scontato qualche anno fa, dopo le politiche inaugurate dalla nuova amministrazione Trump potrebbero indurre a essere più prudenti nell’accelerare su innovazione, nuove fonti energetiche, ricerca e via dicendo. Del resto sei grandi banche hanno abbandonato dopo gli ordini esecutivi di Donald Trump la Net Zero Banking Alliance. Tutto ciò potrebbe indurre appunto a una maggiore prudenza.
Ma la cautela è da tempo in Europa e nel nostro Paese una delle caratteristiche visto il susseguirsi di crisi che abbiamo dovuto affrontare e, che va ribadito, abbiamo superato. Da qui al pensare di poter non immaginare il futuro ce ne passa. Si sbaglierebbe a credere che il mondo vada verso un riscaldamento globale continuo senza che questo provochi danni al pianeta. E la sensibilità crescente e diffusa rispetto a quegli eventi catastrofici legati proprio al riscaldamento globale ci dice che al di là dei proclami, chi saprà essere più efficiente e innovativo, Paesi e aziende, potrà essere vincente nella battaglia per la competitività.
Il cambiamento demografico
Anche perché la demografia ci indica cambiamenti epocali in atto nei quali l’essere competitivi è decisivo per garantire che il benessere raggiunto non valga solo per le generazioni passate. Intorno al 2030 tutti i baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964) avranno lasciato il lavoro. Nel 2050 un italiano su tre avrà più di 65 anni. Ciò significa che, nel 2032, il bilancio dell’Inps sarà in passivo, da un avanzo di 23 miliardi nel 2023 passerà a un disavanzo di 45 miliardi. Le persone, la capacità di attrarre talenti, giovani talenti, sarà decisiva. Già oggi il 70% dei giovani nel mondo vive nell’Africa subsahariana. Nel 2050 un giovane su quattro sotto i 25 anni vivrà in Africa. E considerando la scolarizzazione crescente della generazione Z noi avremo sempre più bisogno di persone e talenti che possano sopperire al fatto che in un’Europa che invecchia l’Italia si stia guadagnando il primato della popolazione più anziana. Le migrazioni e le mancate integrazioni non possono essere viste solo come dei rischi.
«Pact for future» a Milano
Le imprese e le associazioni che già oggi siglano accordi con Paesi africani per istituire scuole e formazione di giovani potenzialmente disposti a trasferirsi in Italia mostrano come si possano perseguire politiche virtuose. Gli esempi non mancano in Europa a cominciare da Paesi come la Finlandia. Persone, ecosistemi, l’attenzione al Pianeta, come opportunità di sviluppo, i giovani, devono essere al centro della riflessione in Italia. E’ anche per questo che abbiamo lanciato come Corriere della Sera assieme all’Università Bocconi la tre giorni internazionale «Pact for future» dal 25 al 27 marzo. Con un’anteprima il 20 marzo che delineerà le possibili e potenziali linee di sviluppo e di crescita di un Paese come il nostro che non solo non parte da zero ma può contare su primati importanti.
I settori dove l’Italia può primeggiare
Anche in campi sorprendenti come la logistica in un territorio che non è dei più facili in Europa, o i servizi finanziari, persino nella dimensione di alcune aziende che riescono a essere leader mondiali nella loro catena del valore. Il settore farmaceutico numero uno in Europa, l’agricoltura prima per valore aggiunto, le reti e la produzione energetica, persino la capacità computazionale con ben due tra i più veloci supercomputer sul territorio italiano. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Si tratta solo di unire i puntini e rendere il quadro completo di un ecosistema nazionale che fa fatica a percepirsi come tale. E che non riesce a riflettere a fondo su se stesso con lo sfilacciato alibi di un’emergenza continua.
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