Mobilitazione della Filiera Salute di Confindustria Emilia Area Centro con appello al governo affinché si proceda a modificare l’impianto normativo creato dal governo Renzi che scarica sui fornitori i deficit pubblici.
«Chiediamo al Governo che riveda la posizione finora assunta sul Payback sanitario e che proceda alla cancellazione di questa norma iniqua» afferma Marco Fantoni, presidente della Filiera Salute di Confindustria Emilia, che conta circa 150 aziende, un fatturato di 3,3 miliardi di euro (dati 2023) e circa 16.000 lavoratori, lanciando l’appello che il direttivo della Filiera Salute fa al Governo italiano.
In particolare, il payback sanitario è un meccanismo che, introdotto un tetto alla spesa sostenuta a livello nazionale e regionale per acquisti di beni e servizi in ambito sanitario ed in particolare per i dispositivi medici, chiama le imprese fornitrici a concorrere al ripiano dell’eventuale superamento del tetto in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa a carico del Servizio sanitario regionale.
Creato nel 2015 dal governo Renzi, questa normativa è stata attuata ad agosto 2022 dal governo Draghi e mantenuta dall’attuale governo Meloni, il quale ne ha dimezzato gli oneri economici, che ad oggi sono quantificabili in circa 1,1 miliardi di euro per il “solo” periodo 2015-2018, ma ai quali si aggiungeranno gli anni successivi. La regione Emilia Romagna l’ha formalmente recepita con una prima determinazione del 12 dicembre 2022.
Il Mercato italiano dei dispositivi medici vale più di 11 miliardi di euro, con circa 4.400 imprese e circa 120.000 addetti. Un settore nei quale i tassi di investimento superano mediamente il 5% del fatturato annuale, i moltiplicatori di leva finanziaria rasentano lo zero (indice di elevata solidità) e la costante attività di ricerca e sviluppo è all’avanguardia in quanto necessaria per garantire il futuro del settore.
I pesanti oneri economico-finanziari che vengono imposti dal payback sanitario alle imprese italiane, peraltro addebitati dopo alcuni anni dall’effettuazione delle vendite (effettuate, si noti bene, a seguito della partecipazione ad aste al ribasso), sono poco chiari ed iniqui nel loro meccanismo di calcolo (ad oggi non sono stati spiegati con chiarezza e sono, ad esempio, calcolati su un importo comprensivo di IVA), oltre ad esporre gli imprenditori a problemi circa l’attendibilità dei loro bilanci.
Questi oneri, se confermati e reiterati, provocheranno molteplici effetti negativi, tra cui chiusure aziendali, perdita di posti di lavoro, riduzione degli investimenti esteri e conseguente impoverimento della struttura manifatturiera dei territori interessati. Senza tralasciare il disincentivo, da parte delle imprese italiane, a fornire le aziende sanitarie pubbliche, le quali dovranno necessariamente favorire gli acquisti da aziende estere. L’aumento di prodotti di importazione, soprattutto extra UE, provocherà un forte deterioramento della qualità dei prodotti per i pazienti, arrecando maggior danno alle regioni nelle quali prevale la sanità pubblica.
Come affermò già nel 2023 Valter Caiumi, presidente di Confindustria Emilia, questa norma è «un’assurdità dal punto di vista legale, da qualsiasi lato la si voglia guardare, che mina ancora una volta la libertà di impresa».
Senza tralasciare che, a fine 2024, le imprese interessate da questa normativa sono state assoggettate ad un ulteriore nuovo onere fiscale, corrispondente allo 0,75% del fatturato realizzato dalla vendita di dispositivi medici al Servizio Sanitario Nazionale.
In aggiunta, come da alcuni mesi lamenta l’intero comparto manifatturiero europeo, anche in questo settore vi è il problema dell’eccesso di proliferazione di normative Ue particolarmente stringenti che, seppur condivisibili nello spirito, spesso sono estremamente onerose per le imprese e richiedono l’applicazione di lunghe e complicate procedure che rallentano l’iter dei processi aziendali e lo sviluppo di nuovi prodotti, con inevitabili impatti sulla competitività dei prodotti europei rispetto ai competitor mondiali, portando a risultati catastrofici se non esiziali per l’industria europea e italiana.
«Il nostro messaggio vuole essere forte, chiaro, costruttivo ed a supporto dello sviluppo di uno dei settori manifatturieri d’eccellenza dell’intera economia italiana e di quella emiliana in particolare – sottolinea Fantoni -: lasciate che questo settore continui il suo percorso di crescita, iniziato tanti decenni fa. Sosteneteci evitando di compromettere quanto abbiamo creato con tanto lavoro, fatica, ingegno e grandi investimenti, in parte provenienti dall’estero».
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