Riversamento R&S: la saga fiscale continua…


Il D.L. 25/2025 riapre i termini per la procedura di riversamento, ma complica il quadro normativo, tra rinunce al contenzioso, rischi di diniego e assenza di garanzie processuali.

 

L’articolo 19, D.L. 25/ 2025 ha riaperto i termini della procedura di riversamento spontaneo dei crediti d’imposta ricerca e sviluppo, già prevista dall’articolo 5, commi da 7 a 12, D.L. 146/2021.

Il meccanismo, finalizzato a sanare l’indebita fruizione dei crediti d’imposta relativi ai periodi 2015-2019, consente il riversamento delle somme utilizzate in compensazione, senza applicazione di sanzioni e interessi, e con effetto estintivo delle responsabilità penali previste dell’articolo 10-quater, D.Lgs. 74/2000 (per l’indebita compensazione di crediti non spettanti e inesistenti).

Tuttavia, a differenza dei precedenti interventi, la nuova disciplina non si limita a prorogare il termine per l’adesione, ma introduce una struttura procedurale inedita, con effetti significativi anche sul piano processuale.

 

I termini della riapertura e le modalità di riversamento

I contribuenti possono aderire alla procedura di riversamento spontaneo entro il 3 giugno 2025.

Il relativo versamento va effettuato entro questa stessa data in un’unica soluzione o in tre rate di pari importo, scadenti rispettivamente il 3 giugno, il 16 dicembre 2025 e il 16 dicembre 2026.

Tuttavia, qualora l’atto di recupero sia divenuto definitivo alla data di presentazione dell’istanza, il riversamento deve avvenire integralmente e in unica soluzione entro il prossimo 3 giugno, senza possibilità di rateizzazione.

Resta invariato l’ambito applicativo della procedura che riguarda i crediti R&S indebitamente compensati, relativi agli anni 2015-2019, maturati ai sensi dell’articolo 3, D.L. 145/2013 e utilizzati fino al 22 ottobre 2021.

Analogamente a quanto previsto dalla disciplina originaria contenuta nel D.L. 146/2021, l’accoglimento della definizione da parte dell’Amministrazione finanziaria non avviene in modo automatico.

L’accesso alla procedura è infatti escluso nei casi in cui il credito d’imposta utilizzato in compensazione derivi da condotte fraudolente, da operazioni oggettivamente o soggettivamente simulate, da rappresentazioni non veritiere fondate sull’uso di documentazione falsa o su fatture relative a operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi in cui manchi una documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili.

Qualora, a seguito della presentazione dell’istanza, l’Amministrazione accerti la presenza di una o più delle suddette condizioni, il contribuente decade dalla procedura e la richiesta si considera priva di effetti.

Le valutazioni sulla condotta del contribuente e il giudizio sull’adeguatezza della documentazione potrebbero comportare, quindi, un concreto rischio di diniego dall’istanza, con conseguenze rilevanti sul piano processuale e sui termini di impugnazione dell’atto impositivo.

 

Il riversamento e la ricaduta sui contenziosi pendenti

La nuova procedura di riversamento si estende, infatti, anche ai crediti oggetto di atti di recupero o provvedimenti impositivi per i quali, alla data di presentazione dell’istanza, sia ancora pendente un contenzioso.

In tali ipotesi, l’accesso alla procedura è subordinato alla rinuncia al giudizio entro il termine del 3 giugno 2025.

Questa previsione incide in modo significativo sull’equilibrio tra la procedura amministrativa e la tutela giurisdizionale. La rinuncia al contenzioso, infatti, non si configura come un mero effetto processuale, bensì come una condizione sostanziale di accesso alla procedura stessa. Il contribuente è così chiamato a rinunciare al contenzioso “al buio”, senza alcuna garanzia sull’esito dell’istanza di riversamento, con evidenti ripercussioni sul piano delle garanzie difensive.

Infatti, diversamente da quanto previsto in altre definizioni agevolate — come la rottamazione dei ruoli o la definizione delle liti pendenti — il legislatore non ha previsto né la sospensione automatica del processo in attesa della decisione dell’Amministrazione, né la possibilità di riattivare il giudizio in caso di diniego.

A ciò si aggiunge un ulteriore elemento di criticità: la norma non definisce né i tempi né le modalità con cui l’Agenzia delle entrate è tenuta a comunicare l’eventuale rigetto dell’istanza, lasciando il contribuente in una posizione di attesa indefinita.

Il tutto in un contesto decisionale che coinvolge valutazioni tecniche molto complesse da parte dell’Ufficio — a partire dalla corretta qualificazione delle attività di ricerca e sviluppo ammissibili – e prive di criteri ministeriali univoci e condivisi.

 

Soluzioni interpretative e aperture giurisprudenziali

Una possibile soluzione interpretativa è stata offerta dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 1997/2025. Pur intervenendo in materia di rottamazione dei ruoli, la Suprema Corte ha affermato un principio di ordine generale: in caso di mancato perfezionamento della definizione agevolata, la rinuncia al contenzioso non produce effetti definitivi ed è suscettibile di revoca.

Applicando tali principi al riversamento:

  • il giudice tributario, ricevuto l’atto di rinuncia, dovrebbe sospendere il processo in attesa dell’esito della procedura;
  • in caso di rigetto, la rinuncia risulterebbe giuridicamente inefficace e il processo potrebbe proseguire;
  • solo in caso di esito positivo della procedura il processo verrebbe dichiarato estinto.

In attesa degli opportuni correttivi normativi o dei chiarimenti di prassi, è opportuno — sotto il profilo della tutela processuale — formulare l’atto di rinuncia specificando espressamente che esso è condizionato al buon esito della procedura di riversamento.

Un simile approccio, benché non codificato, potrebbe ridurre il rischio di pregiudicare irreversibilmente il contenzioso in caso di diniego.

 

Presentazione dell’istanza e termini di impugnazione dell’atto impositivo

Analoghe criticità si manifestano anche quando viene presentata l’istanza telematica di riversamento e, alla data del 3 giugno, risultino ancora pendenti i termini per l’impugnazione dell’atto di recupero.

In simili circostanze, l’articolo 5, comma 12, D.L. 146/2021 – come modificato dal DL 25/2025 – stabilisce che la rinuncia all’impugnazione dell’atto impositivo si intende implicitamente prestata con la presentazione dell’istanza.

Ne consegue che, qualora l’Agenzia delle Entrate rigetti l’istanza di riversamento dopo la scadenza del termine ordinario per la proposizione del ricorso – situazione questa  che verosimilmente si verificherà, considerati i tempi fisiologici di lavorazione delle istanze –  il contribuente non potrà più impugnare l’atto impositivo, non essendo previsto alcun meccanismo di riammissione in termini.

Per questa ragione, potrebbe rivelarsi prudente – laddove alla data del 3 giugno non sia ancora decorso il termine di impugnazione – proporre comunque ricorso e contestualmente presentare l’istanza di riversamento unitamente alla rinuncia al giudizio.

Si tratterebbe, in sostanza, di confidare nel fatto che il giudice sospenda la decisione in attesa dell’esito dell’istanza, per poi dichiarare l’estinzione o la ripresa del processo in caso di accoglimento o rigetto della stessa, come auspicato dalla Cassazione con la citata sentenza n. 1997/2025.

 

Considerazioni finali

A distanza di ormai dieci anni dall’introduzione del credito d’imposta per ricerca e sviluppo, possiamo affermare con una certa amarezza che quello che era nato come uno strumento di incentivo alla competitività e all’innovazione si è trasformato in una vera e propria saga a puntate, ancora ben lontana dal trovare un epilogo definitivo.

Dapprima concesso con favore, poi oggetto di verifiche e contestazioni sempre più pervasive, il credito ha vissuto una parabola tumultuosa e, per certi versi, emblematica della fragilità del nostro sistema di incentivi fiscali.

Alla fase delle contestazioni è seguita quella del riversamento “spontaneo”, percepito dalle imprese come una ulteriore misura punitiva più che come uno strumento di compliance.

Per non parlare dell’ultimo colpo di scena contenuto nella Legge di bilancio 2025: un contributo in conto capitale per coloro che hanno deciso di riversare, come a voler riequilibrare — seppur parzialmente e tardivamente — una misura la cui gestione è apparsa fin dall’inizio incerta e contraddittoria.

Questo continuo rincorrersi di norme, sanatorie, rinvii e incentivi correttivi restituisce l’immagine di Paese poco affidabile, che penalizza le imprese e gli investimenti.

In attesa del prossimo capitolo di questa intricata vicenda, rimane l’auspicio che il legislatore scelga finalmente una via di semplificazione e certezza del diritto, restituendo dignità e funzionalità a uno strumento che, se correttamente gestito, potrebbe ancora rappresentare un importante volano per la crescita e l’innovazione del sistema produttivo italiano.



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