Dati impietosi sui fondi stanziati per la Sanità: c’è da ringraziare chi non ha firmato il rinnovo del Ccnl


La mancata firma del Ccnl per il comparto della Sanità, lo scorso gennaio, non è stato un argomento molto discusso dalla stampa italiana. E le volte che se ne è parlato, il punto di vista espresso è stato principalmente quello del governo e dell’unico sindacato confederato che era disposto a firmarlo, la Cisl: “Vista la scarsità di fondi stanziati per la sanità, meglio poco che niente”.

Lo anticipo per trasparenza: sono iscritta alla Cgil. Ma i dati che vorrei riportare vanno oltre l’appartenenza sindacale, poiché di interesse per la stragrande maggioranza dei cittadini che non ha altra scelta che rivolgersi alla sanità pubblica. A voi i dati incontrovertibili:

1) mancano circa 60.000 infermieri negli ospedali pubblici e un numero imprecisato di altre figure sanitarie del comparto;
2) la sanità italiana perde, con i pensionamenti, circa 13.000 professionisti l’anno, ai quali si aggiungono le sempre più frequenti dimissioni del personale sanitario che migra all’estero o verso la sanità privata;
3) il personale sanitario lascia il pubblico a causa di stipendi miseri (neanche lontanamente paragonabili a quelli dei colleghi europei), dei turni massacranti (prestazioni aggiuntive, straordinari, pronte disponibilità, ecc.), dei carichi di lavoro insostenibili, delle scarse prospettive di carriera, delle violenze ormai all’ordine del giorno.

Lo Stato ha voluto che i sanitari (non medici), per accedere alla professione, conseguissero una laurea, in alcuni casi anche magistrale, si iscrivessero ad un ordine professionale (con relativa tassa annuale spesso oltre i 100€), rispettassero l’obbligo dell’aggiornamento annuale (con altro dispendio di denaro), assumessero obblighi giuridici e responsabilità elevate, rilevanti non solo civilmente ma anche penalmente. Eppure, il professionista sanitario italiano – che ormai ha competenze proprie e diverse da quelle dei medici – rimane uno dei più sottopagati d’Europa: 13€ lorde l’ora. Soltanto negli ultimi tre anni il 16,5% del potere d’acquisto di un lavoratore è stato “mangiato” dall’inflazione. E la stima non tiene conto dei costi – arrivati alle stelle dopo la guerra in Ucraina – dei beni energetici importati.

E cosa offriva il nuovo contratto? Un aumento del 5,78% dello stipendio (lordo!). In altre parole, abbiamo già perso quasi il triplo di quanto avremmo guadagnato firmando quel contratto. Eppure, negli ultimi rinnovi contrattuali, gli incrementi retributivi avevano sempre consentito almeno il recupero pieno dell’inflazione: nel contratto 2019/21, aumenti medi del 7% contro un’inflazione al 2,2%; nel contratto 2016/18, aumenti medi del 3,48% contro un’inflazione pari all’1,8%.

Uno degli obiettivi principali di una contrattazione sindacale è proprio l’adeguamento dello stipendio all’inflazione. E c’è chi davvero si stupisce della mancata firma? Semmai c’è da rimanere scioccati da chi era disposto a metterla.

Ma le criticità di quel contratto non si limitavano alle retribuzioni. Dalle destinazioni delle indegne risorse che questo governo (ma i precedenti non hanno fatto tanto meglio, vedi grafico) ha voluto stanziare per la sanità e, nello specifico, per il comparto, è emersa una chiarissima impostazione neoliberista.

CGIL - Analisi Fondo Sanitario 2024
CGIL – Analisi Fondo Sanitario 2024

Non sono stati trovati i fondi per adeguare gli stipendi all’inflazione, ma sono saltati fuori per detassare le “prestazioni aggiuntive” all’orario ordinario di servizio. Il messaggio: “Lo stipendio non ti basta per arrivare a fine mese? Lavora di più”. E i fondi sono stati trovati anche per detassare gli straordinari, ma dei soli infermieri, con il rischio (o, come direbbero i fautori dell’andreottiano detto sul “pensar male”, intento?) di spaccare la coesione tra i lavoratori della sanità.

Per non parlare della tentata introduzione della disciplina delle “ferie ad ore”, della possibilità di aumentare le giornate di pronta disponibilità della creazione di una figura – non laureata – come quella dell’“assistente infermiere”. E si potrebbe andare avanti.

Secondo il governo, la Cisl e molti organi di stampa, si sarebbe trattato del “miglior contratto possibile”, visti i magri fondi stanziati (1,8 miliardi di euro). Ma la verità – tristemente di fronte agli occhi di tutti in questo periodo di vènti di guerra e di riarmo sempre più prepotenti – è che la quantità di fondi destinati ad un settore non è stabilita da Dio, ma è una questione di scelta politica. La prova? Il primo stanziamento di fondi per il contratto vigente (2019/21) fu di 300 milioni di euro. I sindacati – allora uniti – si opposero, fecero scioperi e battaglie (cioè si comportarono da sindacati) – e quando fu firmato l’attuale Ccnl i fondi erano diventati 1 miliardo e 690 milioni di euro, a fronte di un’inflazione del 2,2%.

I dati reali sono impietosi e parlano chiaro: attuale contratto = 1,69 miliardi con inflazione al 2,2%; ultimo contratto proposto (e rifiutato) = 1,8 miliardi con inflazione al 16,5%.

Che cosa esistono a fare allora i sindacati, se non a contrattare una possibilità di vita dignitosa per i lavoratori che rappresentano? Che esistono a fare se accettano passivamente il primo insufficiente stanziamento di fondi che viene presentato? Che esistono a fare se non difendono un diritto costituzionalmente riconosciuto quale è il Servizio Sanitario Nazionale, che sta morendo e morirà senza adeguati fondi e senza la valorizzazione del suo personale?

Non si può fare altro, quindi, che ringraziare quei sindacati che non hanno firmato l’ultimo contratto e, così facendo, hanno difeso la dignità non solo di noi professionisti sanitari, ma anche dei pazienti che si ritroveranno tra le braccia di questa sanità pubblica tanto martoriata ma che ancora, tra mille difficoltà ma con grande competenza e passione, si prende cura di chiunque vi si rivolga.



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