Il braccio di ferro tra Washington e Bruxelles, condito dalle invettive di Donald Trump, ha riaperto una questione che da anni aleggia come uno spiffero tra le stanze dei ministeri: come proteggere le imprese europee dalle ritorsioni doganali d’Oltreoceano.
L’economia italiana, già appesantita da un ciclo incerto e da vincoli di bilancio che sembrano scritti sulla pietra, rischia di trovarsi con le spalle al muro. A farne le spese potrebbero essere soprattutto le aziende che guardano agli Stati Uniti come uno dei principali mercati di sbocco. Per ora, il governo prova a schermare l’impatto con uno scudo da 6 miliardi, da prelevare dal Pnrr.
Una mossa che, tra i corridoi di Bruxelles, non viene accolta con entusiasmo. Ma intanto Meloni gioca d’anticipo, tentando di ritagliarsi un margine fiscale lì dove le regole europee stanno ancora cercando di capire da che parte girarsi.
Trump accusa l’Unione Europea: commercio e difesa sotto attacco
Donald Trump è tornato a brandire il bastone della guerra commerciale, e non passa un minuto senza che lo ribadisca. Secondo lui, l’Unione Europea sarebbe nata per mettere i bastoni tra le ruote all’economia americana. “La Ue è stata creata per colpire commercialmente gli Usa”, ha dichiarato più volte.
Non pago, l’ex presidente ha rincarato: diversi Stati del blocco europeo avrebbero architettato un disegno per costruire un monopolio a discapito degli Stati Uniti. Il tutto mentre, a detta sua, Washington continua a finanziare la Nato per proteggere alleati che poi giocano sporco sul fronte commerciale. “Gli Usa pagano la Nato per difendere nazioni che poi ci penalizzano negli scambi economici”, ha sentenziato Trump.
Nel mirino di Trump anche il settore energetico, con l’inquilino della Casa Bianca che auspica un aumento degli acquisti europei di risorse energetiche dagli Stati Uniti. “Il commercio tra Usa e Ue deve basarsi su equità e reciprocità”, ha precisato.
Parole curiose se pronunciate da un paese che, solo nel 2022, ha esportato in Europa circa 56 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto, spesso a prezzi ben più alti rispetto al mercato asiatico. Eppure, a giudicare dai numeri, la “reciprocità” sembra avere una sola direzione: gli Stati Uniti, secondo i dati della U.S. Energy Information Administration, hanno visto aumentare del 141% le esportazioni di Gnl verso l’Europa nel solo 2022 rispetto all’anno precedente.
L’Europa ha poi ridotto le importazioni dalla Russia e accettato senza fiatare contratti a lungo termine con Washington. Il libero mercato funziona, ma solo quando il tornaconto è a stelle e strisce.
Il governo incontra le imprese: confronto aperto a Palazzo Chigi
Sul fronte italiano, Palazzo Chigi affronta la delicata partita commerciale convocando un vertice con le associazioni imprenditoriali. Giorgia Meloni prepara un viaggio a Washington per affrontare la questione da vicino, ma senza staccarsi dalla linea europea. L’Italia, più che schierarsi, prova a galleggiare tra le due sponde dell’Atlantico, cercando di non compromettere né i rapporti con Bruxelles né quelli con l’amministrazione Trump.
Una postura da equilibrista, che Tajani ha rafforzato durante il consiglio Affari esteri, ribadendo l’adesione italiana alla posizione comune europea. Ma nel frattempo Roma si muove, forse per non ritrovarsi ancora una volta a rincorrere gli eventi.
L’impatto sul comparto agroalimentare e le prime misure valutate
La tensione sui dazi tiene sotto pressione il comparto agroalimentare italiano, con particolare attenzione a quei prodotti che non godono della fama internazionale dei marchi storici. Le analisi iniziali mostrano che più che Parmigiano o Grana, a rischiare sono le produzioni quotidiane, quelle che arrivano sugli scaffali senza etichette dorate.
A Palazzo Chigi si preferisce mantenere il profilo basso, almeno finché la diplomazia ha qualche margine di manovra. Ma se i tavoli salteranno, l’esecutivo è pronto a intervenire, con strumenti ancora da definire, ma già al centro di un serrato confronto interno.
Strategie del governo: tra ristori e fondi mirati
I ministri Giorgetti (Economia), Urso (Imprese), Lollobrigida (Agricoltura) e Foti (Affari europei) hanno già presentato a Meloni una serie di proposte per tutelare i settori economici più a rischio e rafforzare la competitività delle aziende italiane. Le ipotesi principali prevedono interventi mirati simili ai ristori adottati durante la pandemia, previa autorizzazione da Bruxelles e con un allentamento temporaneo del Patto di Stabilità.
L’ipotesi dei 6 miliardi e i dubbi sul Pnrr
Altre ipotesi allo studio includono il potenziamento del Fondo dedicato al Made in Italy, mentre prevalgono dubbi significativi sull’utilizzo dei fondi previsti dal Pnrr e dal piano Transizione 5.0, suggerito da Confindustria. Le ragioni dello scetticismo derivano sia dalle difficoltà operative legate a queste risorse, sia dalla necessità di nuove e complesse trattative con la Commissione Europea.
Patto di stabilità, clausola di sospensione sul tavolo europeo
Giorgetti ha liquidato le parole di Trump come una provocazione, ma il nodo è sul tavolo dei ministri europei. La clausola di sospensione del Patto di Stabilità, già usata nel 2020, resta l’unica leva seria per mettere in campo risorse fresche. Bruxelles prende tempo: per ora si limitano le aperture sulle spese per la difesa, mentre un allentamento generale è ancora lontano.
Se la Commissione dovesse muoversi, l’Italia avrebbe più margine per finanziare in deficit le misure a sostegno delle imprese colpite. Il piano B resta quello di un nuovo debito comune sul modello Next Generation Eu. Anche la Germania, che ha appena allentato il freno costituzionale al debito, potrebbe questa volta non tirarsi indietro.
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