Norme Ue e Costituzione faranno da scudo a minacce Usa su pari opportunità




Ultim’ora news 6 aprile ore 12


Non solo dazi. Sulle imprese europee incombe anche la crociata avviata dall’amministrazione Trump contro i programmi di DE&I. Nei giorni scorsi alle aziende del Vecchio Continente è arrivato un vero e proprio avvertimento da Oltreoceano: per poter partecipare ad appalti pubblici negli Usa le aziende devono dimostrare di non avere programmi di diversità e inclusione. Una sorta di certificazione di dis-parità. Ma in Italia le pari opportunità sono al sicuro perché “sono garantite dalla Costituzione e da normative che faranno da scudo alla nuova minaccia Usa”. Lo ha spiegato Florinda Scicolone, giurista esperta di normative corporate governance e pari opportunità, in un’intervista a MF-Newswires.

In Italia nessun passo indietro delle aziende su parità di genere

L’amministrazione americana vorrebbe mettere indietro le lancette delle politiche di diversità equità e inclusione. Prima hanno iniziato le imprese minori ad annullare i programmi di Dei, poi si sono aggiunti i big della finanza e della consulenza. In Italia, invece, le aziende “procedono spedite verso lo sviluppo delle politiche di genere”, ha precisato Scicolone spiegando che “sono sempre di più le imprese che decidono di iniziare il percorso per la certificazione di genere UNI/Pdr 125, e che destinano budget per la formazione delle risorse per i temi di inclusione e per la tolleranza zero”. Nell’ultimo periodo si percepisce proprio “un processo di cambiamento culturale grazie allo strumento della certificazione che sta conferendo una consapevolezza a tutti i processi aziendali, dal momento che il percorso che porta alla certificazione si sviluppa in modo trasversale a tutte le direzioni aziendali e non solo quindi nella governance”, ha aggiunto.

L’avvertimento alle imprese Ue che vogliono fare affari in Usa 

L’affondo dell’amministrazione Trump contro le politiche Dei non si è limitato al solo territorio degli Stati Uniti. Una longa manus vorrebbe interferire anche sulle aziende europee. E così nei giorni scorsi è arrivata una lettera, a firma dei contracting officer delle ambasciate statunitensi, con la quale si avvisano le aziende europee che, per partecipare ad appalti pubblici negli Stati Uniti, devono rinunciare ai programmi di diversità e inclusione.

In Italia le pari opportunità sono garantite da un ampio corpus di norme che parte dal dettato costituzionale. La situazione “è molto delicata, ma non bisogna affrontarla come una crociata ideologica contro il rischio di vedere arretrare i diritti civili acquisiti nel tempo”. Occorre una analisi “approfondita” che si sposta anche “su un terreno giuridico perché vige il principio della territorialità secondo cui le leggi di uno Stato si applicano a tutti coloro che si trovano in quel determinato territorio”. Una eventuale lettera a firma dei contracting officer delle ambasciate statunitensi destinate a Stati europei, “una volta che fosse ricevuta dall’Italia – mi voglio concentrare proprio sul diritto italiano per indicare la situazione giuridica nel nostro paese – può avere un valore di “invito”, ma non può assumere il valore giuridico di “ordine” nei confronti di aziende italiane”, ha chiarito Scicolone. Per principio della territorialità, le aziende che hanno la sede legale in Italia, “sono, infatti, sotto l’egida delle normative italiane, nella quale vige una Costituzione che indica all’articolo 3 il principio di uguaglianza, all’articolo 37 la parità di trattamento retributivo, all’articolo 51 il principio delle pari opportunità. Le aziende italiane non possono, quindi, disattendere le normative a cui sono obbligate, per esempio, la legge Golfo-Mosca sancisce obbligo del 40% di quote del genere meno rappresentato nei cda delle quotate e delle partecipate”. Ne consegue che “se una azienda italiana quotata dovesse ricevere un tale tipo di invito per partecipare ad appalti pubblici negli Stati Uniti e sua sponte volesse rinunciare all’applicabilità della legge sulle quote di genere per dimostrare di rinunciare all’equità, sarebbe diffidata dalla Consob per violazione della legge Golfo-Mosca ad adempiere pena, alla terza diffida la decadenza dell’intero cda. Ancora, vige in Italia, il codice delle pari opportunità che ha previsto il rapporto biennale obbligatorio sulla parità che le aziende con almeno 50 dipendenti devono trasmettere, pena sanzioni”, ha aggiunto.

Altresì, la certificazione per la parità di genere che è uno strumento facoltativo, però, prevede l’effetto premiale nella partecipazione dei bandi nazionali ed europei e nel codice degli appalti, per le aziende che la conseguono. “Le imprese che sono certificate in Italia, ripeto, sono parecchie. Pertanto queste non potrebbero dichiarare e disconoscere la certificazione che hanno conseguito perché in questo modo arrecherebbero un danno alla loro competitività e all’employer branding. La normativa del Testo Unico della Sicurezza nei luoghi di lavoro, che prevede la prevenzione contro le molestie nei luoghi di lavoro, non potrebbe essere disattesa perché è normativa compliance. Inoltre, nell’Ue vige il principio giuridico della preminenza delle fonti del diritto europeo su quello degli stati membri, per cui avendo l’Ue approvato due importanti direttive, una sulla trasparenza retributiva e una sulle quote di genere nei cda, che dovranno essere recepite entro giugno 2026, prevarranno sulle norme dei singoli stati”, ha continuato Scicolone.

Pari opportunità boos per risultati aziendali

Ci sono voluti molti anni e un grande impegno per far capire alle aziende che investire sulla parità di genere e l’inclusione portava anche un vantaggio economico. La nuova mossa di Trump non rappresenta un rischio concreto di salti indietro. “L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite prevede come obiettivo 5, il raggiungimento della parità di genere, negli Stati e nelle aziende, entro il 2030. La strategia programmatica dell’Ue, attualmente in vigore, è stata emanata in ossequio proprio al goal numero 5. Credo che l’Europa e i governi nazionali porrano delle misure di difesa per l’economia europea e quindi per le aziende. Sono convinta che supporteranno il Made Italy e il Made in Europe, non solo per la questione dazi, ma anche sul fronte parità, per difendere la competitività delle aziende. Non credo che ci sia rischio in Europa e in Italia di tornare indietro perché il cambiamento culturale che a fatica si è raggiunto negli anni, è supportato, fortunatamente, da obblighi normativi”, ha ribadito Scicolone. “Che le politiche di genere debbano essere considerate un asset del business lo dimostrano i numeri: laddove ci sono politiche di empowerment femminile, di leadership femminile, di work life balance, i bilanci delle aziende migliorano e questi sono dati incontrovertibili”.

Bisogna semmai fare un passo avanti, impostando “tali politiche in modo diverso, ponendo tali temi nell’alveo degli impegni etici, come valore del brand. E’ urgente che le aziende comincino a strutturarsi con figure di risorse manageriali formate sempre di piú su questi temi, affinché sappiano gestire questo cambiamento con un’impostazione diversa nello sviluppo delle politiche di genere, in modo che non vengano più percepite come tutela di una minoranza, ma come sviluppo della collaborazione che non una realizzazione di un programma, bensì, la realizzazione del principio delle pari opportunità”, ha concluso.

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link