Si torna a parlare della cosiddetta direttiva europea sulle case green, che è entrata in vigore lo scorso 28 maggio. Entro gennaio 2026 l’Italia dovrà aver predisposto un piano di rinnovamento degli edifici che abbia come obiettivo le emissioni zero entro il 2050 e che preveda i passaggi obbligatori stabiliti dalla norma. Una vera e propria corsa contro il tempo. Ad oggi, quali sono i rischi principali legati all’attuazione del provvedimento? Secondo Flavio Sanvito, presidente nazionale di Unioncasa, sono quelli che “derivano dall’assenza di un cronoprogramma solido, supportato da incentivi adeguati e facilmente accessibili”. Ma ce ne sono altri. Vediamo meglio cosa è stato spiegato a idealista/news all’indomani dell’incontro al Parlamento europeo con la presidente Roberta Metsola e l’onorevole Letizia Moratti.
Lo scorso 5 marzo Unioncasa ha incontrato al Parlamento europeo la presidente Roberta Metsola e l’onorevole Letizia Moratti. Un incontro importante per voi?
“Unioncasa ha accolto con favore l’invito del Ppe e, in particolare, dell’europarlamentare Letizia Moratti, figura chiave nella Commissione che si occupa della direttiva case green, poiché ci ha offerto una formale opportunità per esprimere la posizione della nostra associazione e – più concretamente – i dubbi e le preoccupazioni di un’ampia fascia di proprietari immobiliari. Questi ultimi avvertono infatti una crescente pressione nel dover intervenire sui propri immobili”.
Nel corso dell’incontro cosa è stato sottolineato da Unioncasa?
“Abbiamo sottolineato come i tempi ristretti per adeguare gli immobili, soprattutto quelli appartenenti alle classi energetiche meno efficienti, con la minaccia di non poterli più vendere o affittare, stia generando timori significativi. Questi timori potrebbero avere ripercussioni negative sul mercato immobiliare, già provato da diverse sfide.
In particolare, abbiamo evidenziato l’importanza di gestire questa direttiva con tempi e modalità adeguate.
Non deve essere percepita come un’imposizione a cui adeguarsi frettolosamente, ma come un percorso necessario che deve essere gestito tenendo conto delle peculiarità di ogni nazione. È fondamentale dare maggiore autonomia ai singoli Stati membri per effettuare valutazioni territoriali specifiche e per evitare di perseguire un risultato in modo affrettato, il che potrebbe rivelarsi dannoso se mal gestito.
L’esperienza del superbonus 110% è un esempio emblematico. La mancanza di una distribuzione temporale adeguata ha portato a una corsa all’accaparramento dei fondi, all’aumento dei prezzi dei materiali e dei costi di ristrutturazione e, di conseguenza, a una inefficiente allocazione delle risorse. Abbiamo dilapidato 200 miliardi per migliorare solo una piccola percentuale del patrimonio immobiliare, circa il 5%, in molti casi nemmeno quello più energivoro.
Pertanto, la prima scadenza del 31 dicembre 2025, che impone ai governi dei singoli Stati membri di presentare un piano, rappresenta già una sfida significativa da prorogare, dati i ritardi e le idee ancora poco chiare sul da farsi. A ciò si aggiungono le problematiche locali, come ad esempio le difficoltà a Milano con il ‘Salva Casa’, e le numerose deroghe che dovranno essere concesse per immobili di pregio storico-architettonico, che non possono essere adeguati senza comprometterne il valore e l’originalità.
Oltre ai timori generalizzati dei proprietari, abbiamo evidenziato l’impatto sociale della direttiva, con il rischio di un aumento delle disuguaglianze e la difficoltà per le fasce più deboli di adeguare la propria abitazione. Abbiamo sottolineato la necessità di una ‘giustizia climatica’, affinché la transizione ecologica sia equa e non gravi in modo sproporzionato sui meno abbienti. Infine, abbiamo posto l’accento sulle criticità tecniche e burocratiche, come la complessità delle procedure e la mancanza di standard uniformi a livello europeo, ribadendo l’importanza di un dialogo costante con gli operatori del settore per definire soluzioni efficaci e sostenibili”.
Quali sono, a vostro avviso, i rischi legati all’attuazione della cosiddetta direttiva sulle case green?
“I rischi principali, come già accennato, derivano dall’assenza di un cronoprogramma solido, supportato da incentivi adeguati e facilmente accessibili.
Studi recenti e autorevoli stimano costi medi per unità immobiliare variabili tra i 30.000 e i 65.000 euro, cifre che non tengono conto di una probabile impennata dei prezzi in caso di interventi frettolosi e non pianificati.
Dobbiamo imparare dagli errori del superbonus e assolutamente evitare di non ripeterli nell’interesse di tutti.
Un altro rischio significativo è la creazione di uno squilibrio nel mercato immobiliare, con un potenziale crollo dei valori degli immobili in classe G e F a vantaggio di quelli in classi energetiche superiori. Anche questo effetto colpirebbe duramente le fasce più deboli della popolazione, favorendo la speculazione immobiliare, con operatori che potrebbero acquistare a basso prezzo immobili da ristrutturare per poi rivenderli con ampi margini di guadagno.
Non dobbiamo poi dimenticare che molti interventi di efficientamento energetico richiedono che l’alloggio sia libero, il che crea problemi sia abitativi per i proprietari che si trovano senza casa durante i lavori, sia per i contratti di locazione in essere.
Inoltre, come detto, la direttiva presenta rischi specifici per il patrimonio storico-artistico italiano. Molti edifici di pregio non possono essere adeguati agli standard energetici senza comprometterne l’integrità e il valore storico-culturale. È fondamentale prevedere deroghe e soluzioni alternative per preservare questo patrimonio unico.
Infine, esiste il rischio di una crisi nel settore delle costruzioni. La mancanza di pianificazione e di incentivi adeguati potrebbe portare, dopo un’esuberante richiesta di prestazioni (come nel caso del superbonus), alla perdita di posti di lavoro stabili e alla chiusura di imprese, soprattutto tra le piccole e medie imprese che rappresentano la spina dorsale del settore. A questo si aggiunge il problema del reperimento dei materiali, che potrebbe diventare critico in caso di una domanda improvvisa e massiccia”.
Quali sono le vostre proposte per l’attuazione della direttiva?
“Le nostre proposte si basano sulla necessità di un approccio condiviso e pianificato. È fondamentale coinvolgere le parti sociali e gli stakeholder in un dialogo costruttivo per definire un piano di attuazione pluriennale, distribuito su un orizzonte temporale di almeno dieci anni, anziché su poche annualità. Questo permetterebbe di realizzare gli adeguamenti in modo graduale, senza creare contraccolpi negativi sul mercato e sulla società.
Se vogliamo trarre un insegnamento da un settore simile, basta osservare come l’ansia di raggiungere gli obiettivi green nel settore automobilistico stia mettendo in difficoltà i produttori europei di auto, a fronte di una transizione frettolosa verso un’auto elettrica che non è ancora pienamente matura e che presenta criticità legate alla dipendenza da risorse e manodopera provenienti dalla Cina. Un’iniziativa definita come irreversibile su cui invece oggi si stanno presentando tanti ripensamenti e addirittura prendendo in considerazione l’abbandono di tutta la programmazione prevista. Dobbiamo evitare di ripetere lo stesso errore nel settore immobiliare.
Le nostre proposte specifiche includono:
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Incentivi mirati e modulati
È essenziale prevedere incentivi mirati e modulati in base al reddito dei proprietari e alle caratteristiche degli immobili. Gli incentivi devono essere facilmente accessibili e realmente efficaci nel coprire una parte significativa dei costi di efficientamento. È necessario evitare meccanismi complessi e burocratici che scoraggiano i proprietari.
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Formazione e informazione
Investire nella formazione e nell’informazione è cruciale. I proprietari, i tecnici e gli operatori del settore devono essere adeguatamente informati sulle tecnologie disponibili, sulle procedure da seguire e sui benefici dell’efficientamento energetico.
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Coinvolgimento degli enti locali
Gli enti locali devono avere un ruolo centrale nella pianificazione e nell’attuazione delle misure. La loro conoscenza del territorio e delle esigenze locali è fondamentale per garantire un approccio efficace e personalizzato.
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Tutela del patrimonio storico-artistico
È necessario prevedere deroghe e soluzioni alternative per gli immobili di pregio storico-architettonico, per preservare il nostro patrimonio culturale.
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Sostegno al settore delle costruzioni
È fondamentale sostenere le imprese del settore delle costruzioni, soprattutto le piccole e medie imprese, attraverso misure di sostegno e formazione, per garantire la capacità di realizzare gli interventi di efficientamento energetico.
In sintesi, è necessario ragionare su scelte che possono determinare sconvolgimenti irreversibili, pianificare gli interventi, stanziare risorse adeguate ed equamente distribuite, e guardare all’efficientamento anche in un’ottica di tecnologie in continua evoluzione”.
L’attuale situazione geopolitica, con l’attenzione che adesso sembra essersi spostata sulle spese per il riarmo, potrebbe avere secondo voi delle ricadute sul percorso verso una transizione ecologica?
“Assolutamente sì. La situazione geopolitica attuale, caratterizzata da conflitti e tensioni crescenti, e il conseguente aumento delle spese per il riarmo, rappresentano un rischio concreto per il percorso verso la transizione ecologica.
Ho percepito una certa condivisione delle nostre idee e la consapevolezza che non ci si può più permettere di agire senza riflettere. Tuttavia, l’ambiente è importante, ma se poi si pensa di spendere ingenti somme in armamenti, mi sembra che ci sia una contraddizione di fondo. Mi permetta una battuta, ma non ho mai sentito parlare di bombe atomiche ‘green’…
È evidente che alcune decisioni possono avere una valenza politica. Ma poi, che senso ha migliorare l’efficienza degli immobili europei quando sappiamo che la maggior parte dell’inquinamento è prodotto da Stati Uniti, Russia e Cina? A questo si aggiungono le discussioni sui dazi, che potrebbero avere un impatto devastante sul costo dei prodotti. L’Europa, continente meno ricco di materie prime, sarebbe tra i più colpiti e ancor più l’Italia.
Esiste un rischio concreto di ‘effetto domino’, in cui la crisi geopolitica e le spese militari portano a una riduzione degli investimenti nella transizione ecologica, con conseguenze a lungo termine per l’ambiente e la società. È fondamentale evitare che la transizione ecologica diventi la ‘vittima sacrificale’ delle tensioni internazionali.
In questo contesto, è più che mai necessaria una ‘diplomazia climatica’. L’Europa deve farsi portavoce di politiche attive contro l’inquinamento, portando avanti le sue idee e le sue iniziative, indipendentemente dalle decisioni di altri Stati. È fondamentale promuovere la cooperazione internazionale e la condivisione di tecnologie e risorse per la transizione ecologica, nonostante le tensioni geopolitiche.
L’Europa deve assumere un ruolo di leadership nella promozione di un modello di sviluppo sostenibile a livello globale, dimostrando che è possibile conciliare la sicurezza con la tutela dell’ambiente”.
Nello specifico, quali possono essere le ricadute della situazione geopolitica sulla transizione?
“Le ricadute della situazione geopolitica sulla transizione ecologica possono essere di diversa natura e di entità significativa.
Innanzitutto, c’è il rischio di una riduzione degli investimenti pubblici e privati nella transizione ecologica.
Le risorse finanziarie destinate a progetti di efficientamento energetico, energie rinnovabili e mobilità sostenibile potrebbero essere dirottate verso le spese militari e la sicurezza.
Inoltre, le tensioni internazionali possono ostacolare la cooperazione globale in materia di clima. La condivisione di tecnologie, la definizione di standard comuni e l’attuazione di accordi internazionali potrebbero essere compromesse dalla mancanza di fiducia e dalla competizione tra le nazioni.
Le ricadute possono essere anche di natura politica. La transizione ecologica potrebbe essere percepita come un obiettivo meno prioritario rispetto alla sicurezza nazionale, e le politiche ambientali potrebbero essere indebolite o rimandate.
L’entità di queste ricadute è difficile da quantificare con precisione, ma è chiaro che il rischio è elevato. Se non si interviene con decisione per proteggere e promuovere la transizione ecologica, le conseguenze per l’ambiente e per la società potrebbero essere gravi e durature.
Non sono nella posizione di imporre scelte che giustamente vengono fatte da chi è preposto a legiferare, ma alzare la voce per cercare di tutelare chi da tali scelte può essere pesantemente penalizzato, questo sì. E i proprietari immobiliari rappresentano certo una categoria molto a rischio che va tutelata, perché la ricchezza di una nazione si misura anche dal valore del proprio patrimonio immobiliare”.
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