La proposta italiana per integrare il piano di riarmo europeo sfida l’approccio tradizionale della destra – alanews


Il dibattito sul piano di riarmo europeo ha assunto una nuova dimensione grazie alla proposta avanzata dal governo italiano, guidato dalla Premier Giorgia Meloni. Questa iniziativa, elaborata in particolare dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, prevede di destinare fondi pubblici europei a garanzia degli investimenti privati nel settore della difesa e dell’innovazione tecnologica. Presentata agli omologhi europei lo scorso 11 marzo, la proposta ha ricevuto un’apertura al dialogo, sebbene rimanga da chiarire come si integrerà con gli strumenti già previsti dal piano ReArm Europe, delineato dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

Un approccio innovativo

L’idea di Giorgetti si distingue per un aspetto cruciale: l’intento di evitare un aggravio sui bilanci pubblici dei singoli Stati membri. Questo è particolarmente significativo per l’Italia, che si trova a fronteggiare un debito pubblico tra i più elevati d’Europa. L’approccio del governo Meloni rappresenta una sorta di evoluzione rispetto alla posizione tradizionale della destra italiana, storicamente contraria a qualsiasi forma di indebitamento, anche se giustificata da investimenti strategici.

Nei mesi precedenti, Meloni aveva sostenuto con fermezza che le spese per la difesa non dovessero essere conteggiate nel calcolo del deficit nazionale durante le discussioni sulle nuove regole fiscali europee. Tuttavia, quando la von der Leyen ha presentato il suo piano di riarmo, ha incluso anche questa possibilità, dando ai singoli Stati membri la facoltà di destinare più risorse al settore della difesa. Meloni e il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, avevano rivendicato questo risultato come una vittoria italiana, ma il governo ha deciso di non avvalersene, preoccupato che un aumento del debito potesse scoraggiare investitori e risparmiatori.

La proposta di garanzia

La decisione di Giorgetti di apportare una proposta alternativa è stata motivata dalla necessità di rassicurare i mercati finanziari. Secondo quanto riferito a parlamentari dell’opposizione, l’annuncio di von der Leyen aveva già avuto ripercussioni negative, aumentando i tassi d’interesse sui titoli di Stato italiani e portando a un incremento della spesa prevista per il 2025 di circa dieci miliardi di euro. La proposta di Giorgetti, dunque, mira a creare un nuovo strumento di garanzia che possa attrarre investimenti privati, senza aumentare il debito pubblico.

Il modello proposto da Giorgetti si ispira a InvestEU, il programma europeo destinato a stimolare investimenti privati in settori strategici dal 2021 al 2027. Questo programma funziona attraverso la garanzia di fondi pubblici, creando un “salvagente” per gli investitori privati. La Commissione Europea destina risorse a garanzia degli investimenti, che consente di mobilitare capitali privati in misura molto maggiore rispetto a quanto viene effettivamente speso. Per esempio, InvestEU prevede 26,2 miliardi di euro di garanzie, con l’obiettivo di attivare circa 370 miliardi di euro di investimenti privati.

La proposta di Giorgetti, battezzata come “European Initiative for Security and Industrial Innovation” (EU-SII), si propone di istituire un fondo di garanzia di circa 16,7 miliardi di euro, con la previsione di mobilitare fino a 200 miliardi di euro in investimenti industriali. Questo approccio ha diversi vantaggi per il governo italiano, non solo dal punto di vista contabile, ma anche sul piano politico. Presentarsi con una proposta proattiva consente a Meloni di distaccarsi dalle misure più militariste e di promuovere un’idea che possa beneficiare anche settori produttivi più ampi, come:

  1. Aerospazio
  2. Sicurezza informatica
  3. Intelligenza artificiale
  4. Infrastrutture

Rischi e opportunità

Tuttavia, ci sono elementi di debolezza nella proposta, in particolare sul fronte politico. I partiti sovranisti, tra cui la Lega e i Fratelli d’Italia, hanno storicamente criticato strumenti come InvestEU, considerandoli insufficienti per stimolare una vera ripresa economica. Questi strumenti sono stati visti come frutto di compromessi in cui, per accontentare paesi come Germania e Paesi Bassi, si è rinunciato a una vera emissione di debito comune, preferendo un approccio basato su garanzie.

Nonostante ciò, il piano NextGenerationEU, attuato dopo la pandemia, ha dimostrato che è possibile adottare misure più audaci in ambito fiscale. Anche il piano di riarmo presentato da von der Leyen ha infranto, in parte, il rigore fiscale tradizionale. La contraddizione di un paese, come l’Italia, che ha sempre criticato l’approccio rigorista dei paesi nordici, nel proporre uno strumento come InvestEU, ha suscitato sorpresa tra altri leader europei.

Giorgetti, nel presentare la sua proposta, ha voluto sottolineare che “qualsiasi nuovo debito pubblico, che sia nazionale o europeo, dovrà essere ripagato”. Questo richiamo alla responsabilità fiscale, sebbene evidente, richiama l’attenzione sul fatto che l’Italia ha spesso ricevuto avvertimenti simili da parte di nazioni come la Germania. Sul piano finanziario, la proposta italiana appare insufficiente a colmare i ritardi accumulati da molti paesi europei nel settore della difesa.

L’Italia è tra i paesi europei che investono meno in difesa, e le cifre parlano chiaro: l’utilizzo di InvestEU ha portato a mobilitare soltanto 4,4 miliardi di euro, pari allo 0,2% del PIL. L’obiettivo del piano di riarmo europeo è di incrementare la spesa per la difesa fino all’1,5% del PIL ogni anno, il che, per l’Italia, potrebbe tradursi in un impegno teorico di circa 120 miliardi di euro. La disparità tra le risorse disponibili e quelle necessarie è evidente e mette in luce come la proposta di Giorgetti, pur essendo interessante, rischi di rimanere un’integrazione marginale rispetto al piano di riarmo nel suo complesso.

Meloni ha continuato a portare avanti questa proposta anche nel recente Consiglio Europeo, dove è riuscita a ottenere un riferimento alla sua iniziativa nel documento finale. Tuttavia, il linguaggio utilizzato è stato piuttosto cauto, limitandosi a invitare la Commissione a valutare l’opportunità di utilizzare maggiormente i programmi dell’UE. Tale formulazione, sebbene positiva, riflette la cautela con cui gli altri Stati membri potrebbero guardare a interventi di garanzia nel settore della difesa.

Il futuro della proposta italiana rimane incerto, e sarà interessante osservare come si evolverà il dibattito in Europa, specialmente considerando le tensioni geopolitiche crescenti e le necessità di un’industria della difesa europea più coesa e competitiva. In questo contesto, la capacità dell’Italia di influenzare le dinamiche europee, pur mantenendo un occhio attento alla sostenibilità delle proprie finanze pubbliche, sarà cruciale per il successo di questa iniziativa.





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