Acconti Irpef calcolati sulle vecchie soglie, la denuncia della Cgil


La riforma Irpef avrebbe dovuto snellire il sistema, e invece rischia di trasformarsi in un boomerang per milioni di contribuenti. A partire dal 2024, le fasce di tassazione sono diventate tre, ma quando si tratta di calcolare gli acconti per l’anno successivo e persino per il 2026, lo Stato torna a rispolverare le vecchie quattro aliquote del 2023.

Un escamotage contabile che si traduce in un anticipo più salato, destinato ad assottigliare i rimborsi o ad aumentare le somme da versare. Il tutto, ovviamente, con la promessa di una restituzione futura. Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, e Monica Iviglia, presidente del Consorzio Caaf Cgil, non girano intorno alla questione: si tratta di una “clamorosa ingiustizia ed ennesima vessazione” a danno di chi non ha scappatoie né detrazioni fantasiose, ma solo una busta paga come orizzonte fiscale.

Effetto della riforma fiscale: aliquote 2023 applicate al 2024

Nonostante il passaggio a tre fasce di tassazione sia ormai in vigore, per calcolare l’anticipo sulle imposte future si fa finta che nulla sia cambiato: si torna a scaglioni più pesanti, come se la riforma non fosse mai esistita. Una contraddizione che, oltre a far storcere il naso, svuota le tasche.

La beffa è evidente soprattutto per i lavoratori con reddito fisso: chi ha un contratto, una Cu regolare e le ritenute già pagate, si troverà comunque a finanziare lo Stato con un anticipo maggiorato, calcolato con regole sorpassate. Il meccanismo coinvolge anche pensionati e autonomi ordinari, costretti a giocare con due mazzi di carte: uno nuovo per l’imposta, uno vecchio per gli acconti.

Dichiarazione obbligata anche per chi sarebbe esente

Il pasticcio non riguarda solo chi ha obbligo di dichiarazione. Anche chi rientrerebbe tra gli esonerati, se vuole accedere a un mutuo o a un bonus, sarà costretto a compilare il 730 e, per aggiunta, a versare un acconto calcolato con criteri superati

La Cgil respinge al mittente la tesi secondo cui l’anomalia riguarderebbe solo i dipendenti con altri redditi. Il meccanismo, sottolineano, tocca anche chi ha un’unica entrata e ha già versato tutto quanto doveva tramite il proprio datore di lavoro.

“Un lavoratore che nel 2024 ha percepito solo redditi di lavoro dipendente con Cu correttamente conguagliata e oneri sostenuti nel 2024, dovrà versare addirittura l’acconto Irpef 2025, anche se dalla liquidazione della dichiarazione tale importo non sarebbe dovuto se si applicassero le aliquote e gli scaglioni 2024”, ribadiscono Ferrari e Iviglia.

L’appello del sindacato: intervenire subito

Per il sindacato, lo scenario è surreale: i contribuenti più ligi finiscono per diventare finanziatori involontari dello Stato. Ferrari e Iviglia chiedono che si ponga rimedio in tempi rapidi, sfruttando il primo spiraglio normativo disponibile per riportare coerenza nel sistema.

Dall’altra parte, il ministero dell’Economia cerca di minimizzare, parlando di “disallineamento” temporaneo. Secondo il Mef, il problema tocca solo chi ha redditi aggiuntivi e comunque la nuova Irpef, per ora, vale solo per il 2024. Come dire: è tutto provvisorio, e se ci saranno problemi, si vedrà.

La Cgil, però, non ci sta. Perché mentre il Governo si affida a tecnicismi, i lavoratori (anche quelli senza altri introiti) vedono sparire pezzi di rimborso sotto forma di anticipi che nessuno ha chiesto.

E l’Agenzia delle Entrate, con le istruzioni al 730 pubblicate a marzo, ha confermato il quadro: l’acconto si calcola col passato, mentre il futuro fiscale resta sospeso, tra promesse di equità e prelievi di cassa. Per Christian Ferrari e Monica Iviglia, “lo Stato fa cassa con anticipi non dovuti”.





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