Con Open InnovAction EIT Manufacturing e Kilometro Rosso cambiano le regole dell’innovazione manifatturiera!


Ancora oggi, molte Pmi considerano l’innovazione un obiettivo fuori portata, riservato a grandi aziende con budget elevati e team specializzati. Nonostante idee brillanti e una profonda conoscenza di settore, spesso rinviano l’adozione di nuove tecnologie, frenate dalla gestione quotidiana e dalla difficoltà di trovare risorse adeguate. Eppure, innovare è una necessità. Il mercato evolve a ritmi sempre più rapidi, i cicli tecnologici si accorciano e i consumatori cercano soluzioni su misura. In questo scenario, la competitività dipende sempre più dalla capacità di adattarsi con agilità. Su questa consapevolezza nasce “Open InnovAction”, un programma di innovazione aperta dedicato alle Pmi e sviluppato da EIT Manufacturing – una delle nove Knowledge and Innovation Communities (KICs) dell’European Institute of Innovation and Technology (EIT), nata per trasformare le scoperte scientifiche in soluzioni per l’industria manifatturiera. EIT Manufacturing promuove l’adozione di tecnologie avanzate come AI, robotica e economia circolare, favorendo il trasferimento tecnologico tra università, startup e aziende. Il programma è stato presentato il 26 febbraio a Bergamo, in un evento organizzato, oltre che da EIT Manufacturing, da Kilometro Rosso (uno dei principali distretti europei dell’innovazione, un hub tecnologico che ospita aziende, centri di ricerca e università) e M.I.A. Lombardia (Manufacturing Innovation Alliance, un polo di innovazione digitale della rete europea degli EDIH).

Ma in cosa consiste il programma Open InnovAction?

Si sviluppa in tre fasi: una formazione interattiva, dove le aziende imparano come applicare l’Open Innovation in modo pratico; l’identificazione di una sfida aziendale, ovvero un problema concreto da risolvere; e infine il matching con startup specializzate, che mettono a disposizione soluzioni già testate. Il percorso si conclude con la sperimentazione diretta della soluzione attraverso un Proof of Concept (PoC), un test pratico per verificarne l’efficacia. Il tutto con il supporto di EIT Manufacturing e finanziamenti che possono coprire fino al 100% dei costi. Per Silvia Zancarli, Business development &innovation senior manager in Eit Manufacturing South, «con Open InnovAction, anche le Pmi possono fare il primo passo verso il futuro».

Quali sono, dunque, i vantaggi che le Pmi ottengono con Open InnovAction?

Attraverso iniziative come la OpenInnovation Challenge, le start-up vengono messe in contatto con aziende che cercano soluzioni per problemi specifici. «Il nostro obiettivo è far sì che queste collaborazioni vadano oltre il semplice interesse, portando a risultati concreti come un PoC, un Mvp o un contratto commerciale», afferma Silvia Zancarli.

Per le Pmi significa accedere a competenze specializzate senza doverle sviluppare internamente, riducendo tempi e costi di innovazione. Collaborando con startup e centri di ricerca, le aziende possono testare nuove tecnologie in sicurezza, migliorando la propria competitività e adattandosi rapidamente ai cambiamenti del mercato. Inoltre, essere riconosciuti come innovatori rafforza il brand e apre nuove opportunità con clienti, partner e investitori. D’altra parte, per il direttore di Kilometro Rosso Salvatore Majorana, «le aziende che rimangono chiuse in sé stesse rischiano di perdere competitività. Oggi, l’unico modo per stare al passo con i cambiamenti è aprirsi alla collaborazione, condividere conoscenze e accelerare l’adozione di nuove tecnologie».

Un percorso concreto per le pmi: open innovaction genera l’innovazione alla portata di tutti

  1. Dalla teoria alla pratica: una formazione immersiva per applicare subito l’Open Innovation

Silvia Zancarli, business development & innovation senior manager in Eit Manufacturing South.

Il primo passo è acquisire un metodo, ma senza indugiare troppo in lezioni teoriche e concetti astratti. L’innovazione non solo è un’idea da studiare, ma un processo da mettere in pratica. Anzi, per Silvia Zancarli «La vera innovazione nasce quando la teoria incontra la pratica e diventa azione». Per questo le due giornate formative, che si terranno l’1 e il 3 aprile al Kilometro Rosso, sono state progettate come un’esperienza immersiva e interattiva. Qui, le aziende potranno “toccare con mano” cosa significa fare open innovation, imparando come collaborare con una startup e come trasformare un’idea in un progetto concreto. Per Silvia Zancarli «i partecipanti torneranno in azienda non solo con nuove conoscenze, ma con strumenti operativi immediatamente applicabili».

  1. Identificare la sfida giusta per innovare: trovare il problema per costruire la soluzione

Si accennava al fatto che l’innovazione non parte dall’idea, ma dalla necessità. Per questo il secondo passaggio del programma è l’individuazione di una challenge aziendale, ovvero un problema specifico che ostacola la crescita dell’impresa. Molte Pmi sanno di avere criticità nei processi produttivi, nella gestione della supply chain o nell’adozione di nuove tecnologie, ma spesso mancano il tempo e le risorse per affrontarle. E così, quelle che potrebbero essere opportunità di crescita vengono accantonate. Per Silvia Zancarli «il programma aiuta invece le aziende a definire chiaramente i propri bisogni e a trasformarli in richieste concrete». A questo punto, inizia la ricerca della soluzione migliore. Ed è qui che entra in gioco il vero cuore dell’open innovation: il citato matching con le startup. Come avviene, nella pratica? Grazie a un network europeo di oltre 800 startup, le aziende hanno accesso a una selezione mirata di realtà altamente specializzate, in grado di offrire soluzioni innovative e già testate.

Ma la scelta finale resta sempre nelle mani dell’impresa, che potrà valutare i candidati e decidere quale startup risponde meglio alle proprie esigenze. L’obiettivo non è solo trovare una tecnologia innovativa, ma individuare il partner giusto con cui avviare una collaborazione efficace e sostenibile nel tempo. D’altra parte, secondo uno studio presentato da EIT Manufacturing, il 68% delle innovazioni radicali nelle Pmi è supportato dall’Open Innovation, con un incremento delle prestazioni commerciali tra il 29,5% e il 42,3%. Numeri che secondo Silvia Zancarli dimostrano come aprire le porte alla collaborazione esterna non sia solo una scelta strategica, ma un vantaggio competitivo concreto.

  1. Testare prima di investire: il Proof of Concept (PoC) per validare l’innovazione senza rischi

Kilometro Rosso oggi ospita aziende, attività di produzione hi-tech, centri di ricerca e laboratori e offre tutti i servizi tecnici, logistici, informatici e telematici, di promozione, formazione, supporto e consulenza necessari a incentivare la Ricerca, lo Sviluppo e l’Innovazione Tecnologica, con l’obiettivo di creare un efficace sistema di relazioni tra i propri partners e il territorio

Come si accennava, una volta selezionata la startup più adatta, si passa all’azione. La soluzione non resta sulla carta, ma viene testata direttamente all’interno dell’azienda. Il terzo e ultimo passaggio del programma è infatti lo sviluppo di un Proof of Concept (PoC), una sperimentazione pratica che permette di valutare in tempi rapidi l’efficacia della soluzione proposta. «Questa fase è fondamentale: prima di investire in un’innovazione su larga scala, l’azienda può testarne il valore in un contesto reale, riducendo rischi e incertezze. Durante tutto il processo, il team del programma fornirà supporto per garantire un’implementazione efficace e senza ostacoli» – afferma Silvia Zancarli.

  1. Open Innovation accessibile a tutti: il supporto economico del Pnrr per ridurre i costi

Come si accennava, un elemento chiave che rende questo programma ancora più vantaggioso è il supporto finanziario garantito dai fondi Pnrr, veicolati attraverso gli European Digital Innovation Hub (Edih). Nel dettaglio, la formazione su Open Innovation, dal valore di 1.150 euro, è interamente finanziata, permettendo alle imprese di acquisire competenze strategiche senza alcun investimento iniziale. Anche le fasi successive del programma beneficiano di un importante sostegno economico: la selezione della challenge e il matching con una startup, per un valore di 20mila euro, è coperto al 70%, mentre il test in fabbrica con la startup, che può arrivare fino a 30mila euro, gode della stessa copertura finanziaria.

L’open innovation non è più un’opzione: perché oggi è indispensabile per le imprese

Salvatore Majorana, direttore Kilometro Rosso

L’innovazione non è mai stata un processo statico. Ogni epoca ha visto trasformazioni radicali nel modo in cui si produce, si compete e si crea valore. Dalla produzione artigianale del passato alla rivoluzione industriale, fino alla produzione di massa del Fordismo, il modello produttivo ha sempre seguito le esigenze del mercato e le possibilità offerte dalla tecnologia. Negli anni ‘50 e ‘60, il Fordismo ha raggiunto il suo apice: l’obiettivo era produrre grandi volumi a costi ridotti, soddisfacendo una domanda omogenea. Ma a partire dagli anni ‘80, il mercato ha iniziato a chiedere prodotti più personalizzati, segnando il passaggio da un modello technology push (dove l’industria impone il prodotto) a un modello market pull (dove il consumatore guida l’innovazione).

Con la globalizzazione e l’arrivo di Internet, il paradigma è cambiato ancora più rapidamente. La produzione è diventata flessibile e personalizzabile, e le imprese hanno dovuto adattarsi a un mercato in costante evoluzione. «Le aziende non possono più permettersi di innovare con i tempi del passato», spiega Majorana, sottolineando che oggi la capacità di adattarsi velocemente è il vero vantaggio competitivo.

  1. Dal modello chiuso alla collaborazione aperta: l’intuizione di Henry Chesbrough e la nascita dell’Open Innovation

Fino agli anni Duemila, l’innovazione seguiva un modello chiuso: le aziende sviluppavano nuove tecnologie nei propri laboratori, le testavano internamente e poi le lanciavano sul mercato. Questo approccio ha funzionato a lungo, ma con il crescere della complessità tecnologica, i costi e i tempi di sviluppo sono diventati insostenibili. Nel 2003, Henry Chesbrough ha introdotto il concetto di Open Innovation, che ribalta questa logica. «Le aziende non devono più basarsi solo sulle proprie risorse interne, ma devono aprirsi all’esterno, collaborando con startup, università, centri di ricerca e persino clienti», spiega Majorana. Il modello dell’Open Innovation si basa su due principi chiave: il primo è l’Outside-in: le aziende acquisiscono idee, tecnologie e competenze dall’esterno; il secondo è l’Inside-out: le aziende possono estendere il valore delle loro innovazioni condividendole con il mercato o collaborando con altre realtà.

Questa apertura consente di ridurre i costi di ricerca e sviluppo, accelerare il time-to-market e abbassare il rischio di fallimento, come conferma Majorana: «Se un colosso come Bosch dice di non poter innovare da solo, è chiaro che per le Pmi è ancora più importante creare alleanze strategiche». Così, secondo il Politecnico di Milano, il 58% delle grandi imprese italiane ha già avviato collaborazioni con startup, mentre l’86% sta adottando strategie di Open Innovation. Quanto alla citata difficoltà delle Pmi di seguire l’esempio, questo è un problema serio, perché le aziende che non innovano finiscono per perdere competitività. «La nostra manifattura è tra le più forti al mondo, ma il rischio è che senza innovazione, molte imprese rimangano indietro», avverte Majorana, citando il rapporto Istat sulla competitività: le aziende che investono in innovazione creano più valore e più occupazione rispetto a quelle che non lo fanno.

Dal 2020, Eit Manufacturing ha finanziato 350 progetti e formato oltre 31mila persone. 200 i partner, più di mille le start-up coinvolte.
  1. Le grandi aziende che hanno scelto l’Open Innovation: casi di successo che dimostrano il suo impatto reale

Un esempio emblematico è Lego, che per Majorana «nei primi anni Duemila si trovava a un passo dal fallimento». L’azienda danese, per decenni sinonimo di creatività e gioco, aveva perso attrattiva di fronte alla concorrenza dei videogame e dei giocattoli digitali. La svolta è arrivata quando Lego ha deciso di coinvolgere direttamente la propria community di appassionati nello sviluppo di nuovi prodotti, permettendo ai fan di proporre e votare le costruzioni da realizzare. Il risultato? Un’ondata di idee innovative e il rilancio definitivo dell’azienda, che oggi è tra i leader mondiali del settore.

Anche General Electric ha sfruttato il potenziale dell’Open Innovation in modo strategico, creando competizioni aperte per individuare talenti e nuove idee. Grazie a queste sfide, GE ha potuto attingere a un bacino globale di innovatori, accelerando lo sviluppo di soluzioni tecnologiche all’avanguardia e portando nuove energie nel proprio ecosistema aziendale.

Un altro caso di successo è quello di Procter & Gamble, che ha adottato un approccio simile per espandere la propria offerta nel settore cosmetico. Invece di sviluppare internamente una nuova linea di prodotti, l’azienda ha scelto di collaborare con una startup specializzata, riducendo drasticamente i tempi di sviluppo e arrivando sul mercato con una soluzione innovativa prima della concorrenza.



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