Dopo l’elezione di Trump è tornata prepotentemente al centro del dibattito la questione delle spese militari. Meloni ha sempre avuto uno sguardo molto nazionalista sul tema. La presidente del Consiglio italiano non perde neanche questa occasione per dimostrare il proprio provincialismo: ma come si fa a gestire una partita del genere da soli come Italia? Ma anche la presidente della Commissione europea sbaglia, e sbaglia clamorosamente. E lo fa, come già sul Green Deal, per eccesso di ideologismo. E quando l’ideologia diventa burocrazia sono guai. Lo abbiamo visto nel momento in cui le geniali intuizioni di Ursula Von der Leyen sono state imposte all’industria europea, creando il più grande autogol della storia continentale e un danno enorme alle manifatture italiana e tedesca. Non mi fido di Ursula Von der Leyen. Non la ritengo capace di guidare l’Europa in un passaggio così delicato.
Questo vuol dire che non vogliamo una difesa europea? Tutt’altro. Noi siamo da sempre dalla parte della difesa comune e quelli come me – ingenui sognatori, forse – continuano a credere nell’esercito europeo come obiettivo verso cui tendere. E per arrivarci, tuttavia, non servono i fantatriliardi dei burocrati di Bruxelles. No. Servono scelte politiche. Cominciando dalla giusta intuizione di Emmanuel Macron di offrire lo scudo atomico francese a tutta l’Unione Europea. E proseguendo nel mettere insieme – laddove possibile – le azioni delle principali aziende europee del settore, a cominciare dalla francese Thales, dalla tedesca Rheinmetall, dall’italiana Leonardo. Anziché chiedere altri soldi ai cittadini, iniziamo a spendere bene, e insieme, quelli che già ci sono. E spendiamoli in ciò che serve davvero. C’è un punto che ho imparato nella mia attività di conferenziere e membro di board di tutto il mondo: la qualità della spesa militare è un argomento troppo spesso ignorato dai politici europei.
LE CIFRE
Certo, c’è anche un problema di quantum. Nel 1992 i partner europei della Nato spendevano circa il 2,6% del proprio Pil per spese militari. Questa cifra era crollata sotto l’1% e nel 2014 nel vertice Nato in Galles con tutti gli altri Paesi convenimmo di tornare al 2%. Essendo uno dei firmatari di quell’accordo non ho cambiato idea. Come non ho cambiato idea sul fatto che questi investimenti vadano «scorporati» dal patto di stabilità europeo, argomento sul quale ebbi già allora una discussione molto accesa con l’allora primo ministro britannico, David Cameron. Il tema del quantum è decisivo. Negli ultimi trent’anni (1994-2023) gli Stati Uniti sono passati da investire poco più di 600 miliardi di dollari a quasi 900, la Cina da meno di 50 miliardi a quasi 500, la Russia da 139 a 428 miliardi, i Paesi europei della Nato da 322 a 380 miliardi.
Il focus che però vorrei fosse più chiaro è dove investire, non solo quanto. Per me il cuore di tutto deve essere l’investimento in ricerca. Perché grazie alle risorse liberate per la ricerca militare sono nate le più grandi scoperte degli ultimi decenni, da internet al farmaceutico agli smartphone. Ecco cosa serve: un gigantesco investimento in innovazione che aiuti la difesa, ma anche l’ecosistema delle startup, del venture capital, dei cervelli. Perché se investiamo sulle idee, tratterremo più talenti in Italia, lasceremo più ricchezza in questo Paese, daremo speranza. E magari saremo capaci di attrarre immigrazione di qualità, gente che studia in Bocconi o al Politecnico e che poi sceglie di restare in Italia anziché andare ad Austin o a Singapore.
Nel 2022 gli Stati Uniti hanno investito 94 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo sulla difesa, l’Europa 9 miliardi. Non può funzionare così. Senza aumentare le spese militari ma solo rimodulandole con la stessa proporzione degli americani, potremmo triplicare e arrivare a quasi 30 miliardi di dollari. Il che significherebbe ricadute straordinarie per i giovani talenti e per la quotidianità dei cittadini europei. Serve investire in difesa, certo. Ma non come dice la Meloni. Purtroppo nemmeno come dice la von der Leyen. E comunque, se vogliono mettere 800 miliardi di nuovi investimenti in difesa, che mettano la stessa cifra anche in nuovi investimenti in cultura, educazione, terzo settore.
* senatore e leader di Italia Viva
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