Crisi dell’auto, Urso ha la soluzione: “Incentivi a chi si riconverte nella difesa”. La Fiom: “Passare al militare assurdo sotto ogni punto di vista”


La voce circolava da tempo. Un’idea, finora, e nulla più che era stata lanciata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Adesso invece Adolfo Urso ne ha parlato senza tanti giri di parole. Il governo ha individuato una strada per provare a salvare le imprese legate alla filiera dell’auto che soffrono la doppia crisi della transizione verso l’elettrico e del lento arretrare di Stellantis: “Incentiviamo le aziende della filiera automotive a diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita come la difesa, l’aerospazio, la blue economy e la cybersicurezza”, ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy nel giorno in cui si è tenuto il tavolo automotive, pur tenendo l’argomento fuori dall’incontro con sindacati, aziende ed enti locali stando a quanto apprende Ilfattoquotidiano.it.

Il governo farà un tavolo sul tema
“Siamo un governo responsabile: il nostro obiettivo è mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori”, ha sostenuto Urso. Settori come la difesa, ha insistito, sono “comparti in forte espansione e ad alta redditività”. Del resto procede velocemente il via libera al Piano ReArmEU da 800 miliardi di euro voluto dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Così – è il pensiero del ministro – “possiamo salvaguardare e valorizzare le competenze dei lavoratori dell’automotive” con “le loro capacità tecniche e il capitale umano già formato”. L’idea sembra già prendere forma: “Insedieremo un tavolo specifico con le imprese e le Regioni per governare la transizione e, quindi, anche la necessaria riconversione industriale verso i comparti in maggiore crescita su cui abbiamo anche campioni nazionali ed europei che possono contribuire a sviluppare le filiere produttive”, ha aggiunto Urso.

La Fiom: “Assurdo”. Ma la Fim dice sì
La proposta dell’esecutivo è stata subito criticata dalla Fiom-Cgil: “Governare la transizione non vuol dire passare dal green al militare; sarebbe una scelta di cui non vogliamo neanche discutere ma che sarebbe assurda dal punto di vista etico, industriale e occupazionale“, ha detto il responsabile settore mobilità Samuele Lodi. Favorevole invece la Fim-Cisl: “Ci sono alcuni aspetti da cogliere rispetto a settori che stanno crescendo, ma no a operazioni di compensazione, cioè chiudere fabbriche di auto per fare operazioni militari. Pensiamo che vanno colte quelle opportunità, soprattutto per la filiera”, ha detto il segretario generale Ferdinando Uliano.

Per la riconversione 2,5 miliardi in 3 anni
Durante l’incontro con i sindacati e gli enti locali, il ministro delle Imprese ha spiegato che nel triennio 2025-27 i fondi per la riqualificazione e la riconversione del comparto saranno pari a 2,5 miliardi di euro. Il grosso – circa 1,8 miliardi – è legato a contratti di sviluppo e accordi per l’innovazione. Risorse che la Fiom giudica “insufficienti, anche a fronte del taglio dell’80% al fondo con la legge di stabilità”. L’Italia non è l’unico Paese in cui tiene banco la discussione sulla collaborazione tra il settore automotive e quello dell’industria militare. L’ad di Volkswagen Oliver Blume ha detto, giovedì, che la società è aperta a contribuire al riarmo valutando la produzione di veicoli militari: c’è insomma un’apertura alla costruzione di equipaggiamenti per l’Esercito tedesco o al ruolo di consulente ad altri gruppi automobilistici su sviluppo e produzione di veicoli militari, visto l’esperienza maturata durante la Seconda guerra mondiale.

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