Trovate i capitali per le start-up, così incidono su lavoro e reddito


La scorsa settimana questo giornale ha dedicato particolare attenzione al tema delle start-up innovative. Nell’articolo di fondo di lunedì 3 marzo il collega Michele Germani ha sottolineato la rilevanza di queste iniziative per favorire il trasferimento tecnologico e l’innovazione; sabato 8 marzo Antonio Pio Guerra ha fornito un quadro delle start-up innovative nelle Marche. Nelle Marche come nella UE il numero di start-up innovativo è elevato (in proporzione alla popolazione); quello che difetta è la capacità delle start-up di crescere e di incidere in modo significativo sull’occupazione e sul reddito nei settori e nei territori in cui operano. E’ debole quello che nel gergo delle start-up innovative viene indicato come la capacità di “scale-up”, cioè la capacità di crescere rapidamente per trasformare una nuova idea in un prodotto di successo. L’ingrediente carente sono i capitali. Non perché manchi il risparmio ma perché sono deboli quei segmenti del mercato dei capitali capaci di convogliare il risparmio verso investimenti che comportano rischi elevati: il venture capital. Le società che operano nel venture capital raccolgono fondi da privati e investitori istituzionali con l’obiettivo di acquisire quote in imprese che hanno elevate potenzialità di successo ma anche elevate possibilità di fallimento. I venture capitalist sanno che solo una minoranza delle imprese in cui investono avrà successo, ma questi pochi casi di successo saranno in grado di compensare le perdite nei casi di insuccesso. Non che il venture capital sia del tutto assente nel nostro paese. Secondo l’ultimo rapporto dell’AIFI (l’associazione di settore) nel 2024 sono state effettuate 270 operazioni per un flusso di investimento di oltre un miliardo di euro. Si tratta, però di cifre largamente inferiori a quanto osservato in altri paesi europei; per non parlare degli USA dove nel 2024 si sono superati i 200 miliardi di dollari di investimenti. Come è evidente dalle cifre relative al mercato italiano, l’investimento medio delle operazioni di venture capital è di qualche milione di euro. Sono effettuati nelle start-up che hanno già dimostrato la validità dei propri prodotti e dei propri modelli di business. Altrettanto rilevante per alimentare questo mercato sono gli interventi che precedono quelli del venture capital. Interventi che si rivolgono alle start-up appena avviate le quali hanno bisogno di risorse per mettere a punto la propria offerta e dimostrare la bontà dell’idea imprenditoriale. I capitali necessari in questa fase sono di importo inferiore (qualche decina o qualche centinaio di migliaia di euro) ma molto difficili da ottenere per le start-up poiché gli investitori sono restii ad impegnare capitali in idee che sono ancora lontane da una effettiva prospettiva di mercato. Le probabilità di fallimento sono molto elevate e anche quando l’idea si rivelasse di successo c’è il rischio di non riuscire a difenderla dall’imitazione. Questi interventi finanziari sono indicati come seed capital. Seppure di piccola entità, questi apporti di capitale sono cruciali per coprire le spese iniziali destinate a sviluppare il business plan, assumere i membri chiave del team, sviluppare prototipi e condurre test di mercato. Il seed capital aiuta le startup a passare dalla fase di sviluppo dell’idea imprenditoriale al punto in cui possono attrarre investimenti più consistenti dai venture capitalist o dalle banche. La logica del seed capital è ancora più esasperata del venture capital: occorre finanziare tante iniziative sapendo che poche avranno successo. D’altra parte è impossibile poter stabilire dall’inizio chi ha maggiori probabilità di successo; occorre scommettere su un numero elevato di iniziative nella consapevolezza che più grande è il numero e maggiore sarà la probabilità di trovare una start-up di successo. E’ in questo segmento del mercato che dovrebbe concentrarsi il sostegno pubblico attraverso forme di garanzia verso gli investitori privati o con interventi diretti. E’ un segmento fondamentale sia per favorire la propensione dei giovani ad avviare start-up sia per far emergere quelle che avranno la possibilità di arrivare alla fase dello scale-up.

* Docente di Economia Applicata all’Università Politecnica delle Marche





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