Il piatto è sempre più ricco, così i big delle armi sgomitano. L’ultimo piano di riarmo europeo da 800 miliardi di euro proposto da Ursula von der Leyen è solo l’ultima occasione, ma l’industria della Difesa si muove già da anni, da quando Vladimir Putin ha portato i suoi carri armati oltre il confine ucraino. Che l’Europa avrebbe dovuto sostenere Kiev è stato evidente fin da subito, che si sarebbe riarmata lo si è capito non troppo tempo dopo, anche grazie ai proclami bellicisti dei suoi vertici. Così le multinazionali degli armamenti hanno sguinzagliato la loro potenza di fuoco sul proprio campo di battaglia, quello della politica, inondando Bruxelles di lobbisti e soldi da spendere per fare pressione sulle istituzioni europee, stimolare lo stanziamento di fondi e la creazione di programmi d’investimento.
Tutti in fila al Berlaymont
La guerra è un’opportunità di guadagno senza eguali per l’industria della Difesa, si sa. Più fucili si impugnano, più proiettili si sparano, più mezzi si impiegano (e magari si distruggono) più soldi entrano nelle casse dei giganti degli armamenti. La spesa globale per la Difesa cresce ormai ogni anno, con il 2023 che ha fatto segnare un nuovo record: 2.443 miliardi. L’industria delle armi non fa altro che cercare di accaparrarsi una fetta più grande possibile di questa enorme torta, oltre a stimolare politici e istituzioni affinché si promuovano politiche che reindirizzino sempre più fondi al settore.
Così, sono centinaia gli incontri registrati tra i lobbisti di Bruxelles e gli esponenti della politica europea. Riducendo il campo alla neonata Commissione, come verificato da Ilfattoquotidiano.it dagli elenchi aperti sul portale del Berlaymont, in soli tre mesi di attività la squadra von der Leyen II ha già ricevuto 18 visite da aziende e gruppi di pressione nel campo della Difesa e dell’aerospazio. Si va da Leonardo ad Airbus, da Dassault a Safran, da Thales a OHB.
Non c’è solo il titolare della Difesa, il lituano Andrius Kubilius, tra gli ‘obiettivi’ dei lobbisti delle armi, ma qualsiasi commissario possa in qualche modo favorire l’intero settore. Così gli uomini delle grandi aziende sono stati ricevuti anche da Ursula von der Leyen, dalla vicepresidente esecutiva con delega alla Sicurezza, Henna Virkkunen, e dal vicepresidente esecutivo con delega alla Prosperità e Strategia Industriale, Stéphane Séjourné.
Un fiume di soldi e lobbisti
Si tratta solo di un piccolo campione che rappresenta un tempo limitato di tre mesi, ma che serve a capire con quale frequenza e ostinazione venga esercitata la pressione sui membri della Commissione. Senza tenere conto che lo stesso vale per quegli eurodeputati che possono ricoprire ruoli importanti nel processo legislativo europeo in materia di Difesa. I numeri di questo sforzo li dà Politico in un’inchiesta da poco pubblicata. Un dato su tutti è emblematico: da quando è iniziata la guerra in Ucraina, i budget per le attività di lobbying delle principali aziende europee nel campo della Difesa sono aumentati di ben il 40% dal 2022 al 2023. E la maggior parte di esse ha utilizzato i soldi per ampliare i propri team con sede a Bruxelles.
Per dare un’idea della portata del fenomeno, basta ricordare che nel 2022 la spesa cumulativa delle prime dieci aziende nel campo della Difesa in Ue (Airbus, Leonardo, Thales, Rheinmetall, Naval, Saab, Safran, KNDS Deutschland, Dassault e Fincantieri) era compresa tra 3,95 milioni di euro e 5,1 milioni di euro, mentre l’anno successivo tale cifra è salita rimanendo compresa tra 5,5 milioni di euro e 6,7 milioni di euro. Saab, ad esempio, ha raddoppiato la sua spesa da 400mila a 800mila euro di investimenti in attività di lobbying, seguito da Airbus che è passata da circa 1,2 a 2 milioni di euro e Dassault, passata da 300mila a 500mila euro, mentre Thales è passata da 300mila a 700mila euro. Per quanto riguarda le italiane, Leonardo e Fincantieri sono rimaste ferme a 300mila euro ciascuna.
Oltre all’aumento del budget, un altro elemento significativo è l’investimento nel personale che svolge attività di lobbying. E qui quasi tutte le dieci compagnie hanno aumentato i propri team di pressione tra il 2022 e il 2024. Thales è quella che ha investito di più, espandendo la squadra da 3,5 a 10 dipendenti calcolati sull’equivalente di attività full time. Segue Leonardo che fa crescere il proprio team da tre a cinque dipendenti. Airbus, invece, è passata da 4,5 a 5,25 dipendenti.
La squadra d’assalto delle grandi compagnie delle armi continua a crescere. Con la guerra che ancora divampa e la spinta bellicista delle istituzioni Ue potrà lanciarsi alla conquista della grande torta dei fondi europei. Destinata a crescere sempre di più.
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