Made in China 2035: sfida finale hi-tech?


Nel richiamare il successo del piano Made in China 2025 (MIC 2025), l’Economist ha richiamato l’immagine di “Voldemort”, con riferimento all’arcinemico del giovane mago Harry Potter il cui nome non poteva essere nominato. L’impatto ottenuto sull’economia mondiale da MIC 2025 è stato tale da influenzare le relazioni globali nel decennio successivo e da farne lo spauracchio per l’Occidente, mettendo in discussione il primato tecnologico e dunque economico sulla Cina che veniva considerato un fatto acquisito e praticamente insormontabile. Il piano è stato così la causa delle chiusure economiche verso la Cina dal 2017 in poi, tanto che i cinesi hanno smesso di utilizzare ufficialmente il nome, pur portandone avanti le politiche. 

Di cosa si tratta

Il piano MIC 2025, una strategia ambiziosa per trasformare il Paese asiatico in una superpotenza manifatturiera avanzata, riducendo la dipendenza da tecnologie straniere e promuovendo l’innovazione domestica, è stato lanciato nel 2015 dal governo cinese. L’obiettivo era quello di raggiungere la condizione di leadership tecnologica in dieci settori chiave nel contesto di una trasformazione qualitativa dell’economia cinese. 

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Secondo le stime più recenti, il piano ha ottenuto progressi significativi in settori chiave come l’intelligenza artificiale (IA), i semiconduttori, i veicoli elettrici e le energie rinnovabili. La produzione e la vendita di veicoli elettrici (BEV e PHEV) hanno superato le 12 milioni di unità nel 2023, coprendo più del 60% del totale mondiale, mentre aziende come BYD e CATL dominano il mercato delle batterie, con quest’ultima che controlla oltre il 35% delle batterie agli ioni di litio a livello globale. Nel settore dei semiconduttori, pur essendo ancora dipendente dalle importazioni per i chip più avanzati, la Cina è riuscita a coprire il 17% del proprio fabbisogno nazionale nel 2023, con SMIC che ha avviato la produzione di chip a 7 nanometri, sfidando le restrizioni statunitensi. Anche la robotica e l’automazione hanno visto un’espansione significativa, con la Cina che ora rappresenta più del 50% delle installazioni globali di robot industriali. Sul fronte delle energie rinnovabili, il Paese continua a installare a un ritmo record nuova capacità solare, superando quanto fa il resto del mondo.

Per il suo carattere esplicito di messa in discussione degli equilibri tecnologici mondiali, il MIC 2025 è diventato un punto centrale della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti durante l’amministrazione Trump per poi caratterizzare le relazioni negli anni successivi. Washington ha identificato il piano come una minaccia strategica e con la prima Trade war di Trump ha introdotto dazi fino al 25% su prodotti high-tech cinesi, mentre l’amministrazione Biden ha approvato restrizioni sulle esportazioni di semiconduttori avanzati e macchinari litografici, nonché pressioni su alleati come Paesi Bassi e Giappone per limitare l’export di tecnologie critiche. Queste misure hanno spinto Pechino a rafforzare ulteriormente la propria politica di autosufficienza tecnologica, culminata nella strategia della “doppia circolazione” introdotta nel 2020, che mira a ridurre le dipendenze esterne e rafforzare il mercato interno. Di fatto, l’enfasi sulla economic security, ovvero il modello di relazioni economiche che si è imposto dalla pandemia in poi e che prevede la valutazione del rischio politico e delle dipendenze nella distribuzione delle catene del valore, è il risultato in buona parte di una reazione a questo piano. 

La reazione, però, non è stata solo statunitense, si è manifestata anche in Europa. Infatti, la combinazione di avanzamento tecnologico e di massicce acquisizioni estere ha comportato l’adozione di restrizioni agli investimenti in entrata. L’Europa ha adottato un atteggiamento più cauto nei confronti degli investimenti cinesi dopo che nel 2016 la cinese Midea ha completato l’acquisizione del colosso tedesco della robotica Kuka per 4,5 miliardi di euro. Nei mesi successivi i governi europei hanno iniziato a rafforzare i meccanismi di controllo sugli investimenti esteri, temendo la perdita di tecnologie strategiche. Questo ha portato alla creazione del regolamento UE sugli investimenti esteri nel 2019, al blocco di acquisizioni strategiche nei settori delle telecomunicazioni, energia e difesa, e a un drastico calo degli investimenti diretti cinesi in Europa, passati da 47 miliardi di euro nel 2016 a meno di 10 miliardi nel 2023.

Come nasce il piano

L’impatto di MIC 2025 dipende in buona parte anche dal valore in termine di marketing del suo nome e dal messaggio semplice che veicolava: trasformare la percezione del Made in China da basso ad alto valore aggiunto. Tuttavia, il MIC 2025 non è nato dal nulla: è il risultato di una lunga evoluzione della politica industriale cinese. Dal 2006 al 2015 la Cina ha selezionato settori strategici da sviluppare, investendo oltre 60 miliardi di dollari nel settore dei veicoli elettrici. Dal 2016 in poi, con l’adozione della Innovation-Driven Development Strategy (IDDS), ha accelerato nella rivoluzione tecnologica, puntando su intelligenza artificiale e digitalizzazione industriale, con investimenti superiori a 1.000 miliardi di dollari in infrastrutture digitali. Dal 2020 la strategia si è concentrata sull’autosufficienza tecnologica, con il governo che ha stanziato 150 miliardi di dollari per sviluppare una filiera domestica di semiconduttori entro il 2030.

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Gli obiettivi al 2035

Con la scadenza del piano prevista per quest’anno, Pechino ha però già definito da tempo i propri obiettivi successivi. In particolare, in occasione dell’approvazione del Quattordicesimo Piano quinquennale (2021-2025) sono stati stabiliti gli obiettivi strategici della Cina per il 2035, con l’obiettivo di trasformare il Paese in quella che è stata definita una potenza socialista moderna

Tra le priorità vi è ribadita l’innovazione tecnologica, con l’obiettivo di portare la Cina ai vertici globali in settori come IA, semiconduttori e biotecnologie, aumentando la spesa in ricerca e sviluppo (R&S) fino al 3% del PIL. Sul fronte economico, si punta alla modernizzazione industriale, rafforzando il settore manifatturiero avanzato e portando l’economia digitale a rappresentare oltre il 50% del PIL. In ambito sociale, il piano prevede un miglioramento del benessere della popolazione, mirando ad aumentare l’aspettativa di vita media a 80 anni e ridurre il divario urbano-rurale attraverso politiche di urbanizzazione che dovrebbero portare la popolazione urbana oltre il 75% del totale. La sostenibilità ambientale è un altro obiettivo chiave, con l’impegno a ridurre le emissioni di CO₂ del 65% rispetto ai livelli del 2005 e portare la quota di energia rinnovabile al 25% del mix energetico. Sul piano internazionale, la Cina intende consolidare la propria leadership economica attraverso la Belt and Road Initiative (BRI) e la creazione di nuovi standard globali nel commercio e nella tecnologia. Infine, il rafforzamento della sicurezza nazionale e della difesa prevede il potenziamento dell’Esercito popolare di liberazione, con l’obiettivo di completarne la modernizzazione entro il 2035, garantendo al contempo stabilità interna e protezione degli interessi strategici del Paese.

Le sfide aperte: a che punto siamo

Al di là di quelli che possono essere i target inseriti nei documenti a lunga scadenza e che potranno essere rivisti nel corso degli anni, la Cina è già considerata un leader in alcuni settori e in grado di rafforzare la propria posizione in altri. Se batterie, telecomunicazioni, droni ed energia rinnovabile sono i settori di maggior forza oggi, nel futuro lo sguardo è rivolto all’intelligenza artificiale e alle biotecnologie.  

In particolare, l’intelligenza artificiale è una delle priorità strategiche del governo cinese, che punta a diventare il primo Paese al mondo in questo campo entro il 2030. Grazie a una vasta disponibilità di dati e a investimenti miliardari, la Cina sta rapidamente colmando il divario con gli Stati Uniti nello sviluppo di modelli avanzati di IA, come emerso anche dalla vicenda DeepSeek. Anche nel calcolo quantistico e nei supercomputer la Cina sta avanzando a grandi passi, con alcuni dei computer più potenti al mondo e un’accelerazione nello sviluppo della tecnologia quantistica. Nel settore dei nuovi materiali e della chimica avanzata gli investimenti si concentrano sui semiconduttori di nuova generazione, un ambito in cui il Paese vuole ridurre la sua dipendenza da fornitori stranieri. Lo stesso vale per le biotecnologie e la farmaceutica, con l’obiettivo di competere con i colossi occidentali del settore. Un altro comparto chiave è la robotica e l’automazione industriale: Pechino sta spingendo per trasformare il Paese nel principale produttore di robot intelligenti, accelerando la digitalizzazione delle fabbriche.

Tuttavia, nonostante questi successi, esistono settori in cui la Cina fatica a competere con l’Occidente. I semiconduttori avanzati restano un punto debole: sebbene il Paese abbia fatto progressi nello sviluppo di chip a 7 nanometri, rimane ancora distante dalle capacità produttive di aziende come TSMC e Samsung, che dominano la produzione di chip a 5 nm e oltre. Anche nell’aerospazio civile la Cina sta cercando di sfidare Boeing e Airbus con il suo C919, ma la dipendenza da componenti occidentali ne limita l’espansione globale. Lo stesso si può dire per l’industria della difesa avanzata, dove gli Stati Uniti mantengono un chiaro vantaggio in tecnologie critiche come motori aeronautici, sistemi radar e software di guerra elettronica.

La sfida quindi non si ferma. Di fronte a questa avanzata gli USA devono agire in fretta se vogliono mantenere la leadership tecnologica. Secondo David Lin del Special Competitive Studies Project, un think tank specializzato nella competizione tecnologica, per non essere superati gli USA devono rafforzare la loro capacità produttiva, investire più risorse in R&S e migliorare la cooperazione tra settore pubblico e privato. Senza una strategia chiara e una risposta efficace, il rischio percepito a Washington è di subire il sorpasso nelle tecnologie cruciali del futuro, con la ridefinizione degli equilibri globali nei prossimi dieci anni, più di quanto non stia avvenendo ora.



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