grazie al Mezzogiorno il Paese vince sulla crisi


Non è una questione di decimali, di uno zero virgola in più come spesso si dice. No, da almeno due anni (e l’approssimazione è per difetto) il tema più rilevante nelle dinamiche economiche del Paese è un altro. Si chiama crescita del Mezzogiorno e per tanti aspetti, anche in congiunture delicate sul piano internazionale come quella attuale, resta la chiave sempre più obbligata per capire, ad esempio, come mai il Pil italiano ha potuto superare le incertezze del post Covid, recuperando un tasso di competitività superiore a quello di altri Stati europei in preoccupante frenata (la Germania, soprattutto, ma non solo).

O come abbia fatto il nostro Paese a scalare la classifica dell’export mondiale fino ad occupare la quarta piazza in assoluto. O, ancora, come si sia tornati a livelli di crescita dell’occupazione su cui ben pochi, forse, avrebbero scommesso. Ecco, c’entra il Sud in tutto questo e non perché si debbano “necessariamente” cancellare limiti, ritardi e squilibri che hanno costruito il divario con il resto del Paese.

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La verità, molto più semplicemente, è che occorre riconoscere che il Mezzogiorno è diventato un pilastro dell’economia nazionale, un punto di riferimento decisivo per l’attrazione di nuovi investimenti, anche stranieri, un territorio competitivo sul versante della ricerca e dell’innovazione, il passaggio obbligato per tutto ciò che disegnerà il futuro italiano in termini di approvvigionamento energetico, e non solo da fonti rinnovabili, la vera sfida di questi anni.

La svolta

Un ruolo, una prospettiva, una direzione di marcia che erano emersi con forza nel 2023, quando il Sud quasi sbalordì il Paese con un tasso di crescita superiore alla media nazionale (+1,5), ma che anche nel 2024 si sono in gran parte confermati. Era la prova del nove, la verifica che non si era trattato di un exploit dettato da fattori contingenti ed episodici (come l’accelerazione della spesa dei fondi strutturali europei per evitare il definanziamento o la restituzione a Bruxelles).

Crescere per il secondo anno consecutivo più del resto del Paese, come hanno anticipato pressoché tutti gli osservatori economici specializzati, sia pure rallentando la corsa (l’incremento di Pil, in attesa della certificazione Istat, dovrebbe essere stato dello 0,9%) è la risposta più eloquente a dubbi e scetticismi. Il Sud c’è e meno male, verrebbe voglia di sottolineare, alla luce delle difficoltà di altre aree del Paese, il Nord Est in particolare, di garantire un dinamismo economico altrettanto significativo.

Le basi

Su cosa poggia questa rinnovata capacità del Mezzogiorno di essere centrale nella prospettiva di crescita del Paese, specie ora che le incognite geopolitiche rischiano di rallentarla? Intanto su un sistema produttivo nel quale a differenza di altre aree del Paese la spinta che arriva dalle imprese si è ulteriormente consolidata. Al Sud è attivo il saldo tra le pmi che nascono e quelle che cessano l’attività. E sempre al Sud è decisamente più basso rispetto al Nord il livello di desertificazione imprenditoriale, come documentato di recente da Movimprese: i Comuni che non ospitano un’impresa o non ne hanno più nemmeno una sono molti di più nel resto del Paese, come accade in Piemonte ad esempio.

Non è un caso che il numero delle pmi innovative e comunque delle startup del Sud si mantenga costantemente in aumento, sia pure distante in valori assoluti da aree come la Lombardia. Insomma, fare impresa nel Mezzogiorno non è più (da tempo, peraltro) una sorta di terno al lotto. Lo dimostra il peso dell’export, settore chiave per verificare lo stato di salute di un’economia, grazie soprattutto all’agroalimentare e al farmaceutico, protagonista quest’ultimo di un rimbalzo quasi clamoroso (in gran parte targato Napoli e Campania). È anche la solidità patrimoniale delle imprese ad aggiungere credibilità a questo percorso: sono state soprattutto le aziende meridionali ad emergere per capitalizzazione tra quelle approdate al segmento specifico, Elite, di Borsa italiana. Ultima in ordine di tempo, proprio in questi giorni, la napoletana SMS Engineering, un’eccellenza della digital transformation.

C’è un Sud che fa sempre di più shopping all’estero, nel settore automotive ad esempio, con le campane Proma e Sapa che acquisiscono marchi e aziende storiche del settore in Germania ed Austria ampliando la presenza sul mercato europeo. E c’è un Sud che attira giovani talenti dell’innovazione, attraverso ecosistemi di caratura internazionale come quello della Federico II a San Giovanni a Teduccio. E un Sud che ha finalmente puntato sull’enorme opportunità di crescita rappresentata dall’economia del mare, con i porti cresciuti sul piano della competitività in modo quasi esponenziale e il Mediterraneo sempre più scenario mondiale di riferimento per il traffico delle merci e la sicurezza globale.

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È un Sud, peraltro, che sa già di poter fare di più anche in chiave di sistema Paese. Il Pnrr, ad esempio: le risorse investite qui attraverso il piano nazionale di ripresa e resilienza hanno un valore pro capite di circa 440 euro, più di cento euro in più rispetto ai cittadini del Nord. Investire al Sud, insomma, produce più ricaschi economici che altrove. E poi la Zes unica, che anche nel 2025 sta dimostrando per intero cosa vuol dire investire nel Mezzogiorno, creare nuovi posti di lavoro e implementare il livello di qualità e internazionalizzazione delle imprese. Sette miliardi investiti in pochi mesi danno il senso di tutto ciò. E aiutano a spiegare perché raccontare ancora il Sud come la cenerentola del Paese non ha più senso.





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