Consolato Usa a Firenze, l’allarme delle imprese: «Chiuderlo sarebbe un grave danno»


di
Mauro Bonciani

Preoccupazione tra gli industriali, sia statunitensi sia italiani: «E non si risparmierebbe poi molto…»

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Le esportazioni della Toscana negli Usa nel 2024 supereranno il valore di 9 miliardi di euro (contro i 7,4 del 2023); e le aziende Usa nella nostra regione sono oltre 250, per circa 45 mila occupati. Bastano questi due dati per capire l’importanza dell’interscambio economico tra Toscana, Firenze e gli Usa. E la gravità delle preoccupazioni delle imprese per le voci su una possibile chiusura del consolato americano di Firenze, che serve l’intera Toscana, gran parte dell’Emilia Romagna e San Marino, legato alla spending review con la motosega messa in atto da Donald Trump ed Elon Musk.

Un consolato, sul cui valore, Baker Hughes — il più importante gruppo statunitense operativo in Toscana, con 4.400 addetti solo alla Nuovo Pignone di Firenze e 440 addetti diretti a Massa — spiega: «La presenza del consolato degli Stati Uniti d’America a Firenze rappresenta un elemento molto positivo e un importante presidio per il territorio. Per Baker Hughes, il consolato è da sempre un interlocutore preferenziale con cui l’azienda intrattiene relazioni di grande valore e massima collaborazione».




















































L’allarme per le conseguenze di una possibile chiusura del consolato arriva sia dalle aziende americane che da quella toscane che investono negli Usa. Connect-Us è il programma di incontro tra startup fiorentine e toscane e imprenditori ed investitori a stelle e strisce nato più di tre anni fa, e Joshua Henderson è il coordinatore delle imprese statunitensi nel progetto.

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«Giovedì scorso si è tenuto l’ultimo evento e negli ultimi due anni sono stati coinvolti oltre cento imprenditori o investitori Usa — dice Henderson, imprenditore del settore alimentare — Il progetto è nato con il consolato Usa, che gli ha dato una grande spinta, e con Nana Bianca. Sarebbe un peccato se il consolato chiudesse, anche se noi andremmo avanti comunque. Spero davvero che non chiuda, non sarebbe poi nemmeno un gran risparmio…». 

«Giovedì c’era anche la console Daniela Ballard e l’attività di Connect-Us è preziosa — aggiunge Alessandro Sordi, di Nana Bianca — Sono stati raggiunti almeno quattro accordi con investitori Usa per interventi in nostre imprese. Che il consolato Usa sia così aperto ai giovani e alle nostre startup è molto positivo. Se chiudesse mancherebbe molto».

Il gruppo Antinori ha importanti investimenti negli Usa, ampliati negli ultimi anni in Napa Valley, e la presidente Alberia Antinori spiega: «La paventata chiusura, come i dazi, sarebbe un controsenso, sia per gli effetti economici che per il rischio isolamento degli Usa, quando il mondo è sempre più globale. I rapporti tra i nostri territori sono forti e proficui da entrambe le parti, anche quelli culturali: siamo partner storici». 

E Massimo Manetti, presidente della Camera di Commercio di Firenze afferma: «Riteniamo opportuno che gli Stati Uniti mantengano il consolato a Firenze, in virtù degli storici rapporti tra la città e gli Usa, il valore dell’interscambio commerciale e la presenza di turisti e soprattutto studenti, che hanno raggiunto le 18 mila unità l’anno, e per i quali è fondamentale l’assistenza di un presidio diplomatico». 

Maurizio Bigazzi, presidente di Confindustria Toscana, sottolinea: «Sono incredulo ancora più che sorpreso. La presenza di imprese statunitensi sul nostro territorio è storicamente consolidata e con essa la rappresentanza diplomatica. Il consolato generale è ideatore e partner di progetti strategici di promozione e rafforzamento di interscambio commerciale: sarebbe deleterio oggi interrompere un rapporto proficuo. Per il nostro export gli Usa sono il primo mercato; e tra le imprese toscane a controllo estero quelle statunitensi sono al secondo posto per numero di addetti. Le nostre imprese, quindi, auspicano non solo la permanenza degli uffici consolari, ma un rafforzamento degli stessi per rispondere alle necessità del tessuto produttivo toscano».

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